domenica 11 settembre 2016

"Il Segreto dell'Azteco", mio nuovo romanzo in formato Kindle su Amazon

Il testo del romanzo è preceduto da questa mia Avvertenza

Il Segreto dell'Azteco è il mio ventesimo libro (16 romanzi, 3 di viaggio, 1 di poesie), ed è il secondo pubblicato direttamente in formato elettronico, senza una precedente edizione cartacea. Come per quel romanzo — Rosa d’Oriente —, anche la gestazione di questo è stata piuttosto lunga. La racconto perché — come nel caso precedente — sono l’unico a conoscerla nella sua interezza, e se non la divulgassi in questa sede nessuno ne saprebbe niente. È cominciata nell’autunno del 1996. Venti anni fa…

Avevo lasciato (o perlomeno ero fermamente intenzionato a lasciare) l’ottima Casa Editrice Rizzoli di allora per malumori personalissimi e avevo ricevuto un incarico di consulenza ad ampio raggio dalla mia vecchia Longanesi di Mario Spagnol (anch’essa da me lasciata una decina di anni prima per malumori personalissimi…) In realtà con la gloriosa casa editrice non avevo mai rotto del tutto, la stima che mi legava reciprocamente all’editore non era mai venuta meno nonostante il mio abbandono. Ma abbandono c’era stato, e il vecchio Spagnol, oltre che un grande editore era un osso durissimo. Rognoso. Come consulente mi aveva rivoluto lui, ma come autore? Non osavo proporglielo, e lui mi lasciava rosolare a fuoco lentissimo.

Ma stavo elaborando un progetto molto corposo, che si sarebbe dovuto sviluppare su tre romanzi. Una complicata composizione a cavallo tra il techno-thriller e il New Age, che avrebbe avuto come motivo conduttore la presenza di alcuni personaggi principali impegnati a risolvere tre intricate vicende. Tra l’autunno del 1996 e l’inizio primavera del 1998 avevo scritto tutto il primo romanzo, quasi tutto il secondo e lo scheletro del terzo. 

A quel punto, verso il ponte del 1° maggio, ho preso il coraggio a piene mani e ho telefonato al cerbero Spagnol, il quale ha ridacchiato a lungo, com’era sua abitudine e mi ha invitato ad andarlo a trovare. In casa editrice? No, a casa. A Milano? Eh, no, troppo facile: c’era il ponte, lui andava a trascorrerlo nel bellissimo rifugio di Lerici, alto sul mare, con un grande giardino. Potevo portargli lì lo scartafaccio e illustrarglielo con tutta la calma necessaria.

Chiesi ospitalità a cari amici a Castelnuovo Magra e da lì mi precipitai a Lerici, con il cuore in gola. Sono sempre stato un maestro nel bruciarmi i ponti dietro le spalle, quindi tornare alla Rizzoli era ormai impossibile, né d’altra parte lo volevo. Ma non sono altrettanto bravo a propormi.

In realtà non illustrai un bel niente. Il rognoso Spagnol, grande giocatore di poker e sempre più deciso a farmi scontare l’affronto dell’abbandono, mi fece posare il malloppo su un tavolo e, sempre ridacchiando, mi guidò fuori, nel bel giardino. Era convinto di avere un fantastico pollice verde e ci teneva a esibirlo. Passammo un’oretta o forse più a discutere accanitamente se il rododendro fosse un’azalea o meno. Io dicevo di sì, lui negava con la massima decisione. Due belle teste dure. Avevo ragione io, come non poche altre volte nei nostri dibattiti, ma il sugo è che a un certo punto mi congedò. Aveva da fare.

E il mio progetto? Non lo avevamo neanche guardato. Calma, le farò sapere… 

Un paio di mesi più tardi, poco prima delle ferie, mi convocò nel suo ufficio in Corso Italia a Milano e mi disse seccamente che il primo romanzo non gli dispiaceva ma dovevo cambiare l’ambientazione. C’era troppa Turchia, che secondo lui non portava bene. Chissà perché. Il mio primo romanzo “turco”, Il Cielo della Mezzaluna, pubblicato da lui, aveva avuto un’ottima accoglienza, rivelandomi alla critica e al pubblico, e i successivi romanzi “turchi” pubblicati da Rizzoli — Un amore innocente e Crudele amore —, erano andati benissimo.

Comunque all’editore che legge i testi bisogna sempre dare retta, per cui mi misi al lavoro. E lavorando mi resi conto che aveva ragione lui. La Turchia — le acque termali di Bursa e i dintorni — risultava pochissimo credibile, non tanto in sé quanto per tutti i trambusti che infliggevo al protagonista. Tra l’altro avevo deciso di farlo andare in coma, poveretto, durante un’immersione nell’Egeo, senza avere nemmeno la più vaga idea dell’argomento. L’idea mi era venuta avendo visto all’opera amici italo-turchi che gestivano una scuola di quell’attività nell’Egeo, ma in pratica non ne sapevo niente. Mi ripromettevo di farmela spiegare bene da loro, ma alla fine mi sono reso conto che rischiavo di scrivere un bel po’ di sciocchezze. Sono attività che si praticano, non te le può spiegare nessuno.

Tornai in Italia piuttosto confuso e orientato a piantare in asso il progetto. Dopo Ferragosto avevo l’abitudine di raggiungere in Slovenia altri cari amici per appassionate sfide di raccolta di funghi. E li raggiungevo facendo ampie deviazioni che in precedenza mi avevano portato a visitare l’Ungheria e la Romania. Quell’anno decisi di andare in Polonia, dov’ero stato 35 anni prima, per rivedere Cracovia e dintorni passando per i Monti Tatra e la località montana di Zakopane, di cui avevo uno squisito ricordo di gioventù.

Non ci arrivai mai. Ai piedi dei Tatra, sul versante slovacco, ecco lì la mia ambientazione, nelle acque termali di Bardejov, con infinità di pinete (non trovai nemmeno un fungo commestibile), bizzeffe di chiese neogotiche e tutta un’atmosfera post comunista che sembrava fatta apposta. Era perfetta. Montagna invece che mare, e un incidente di sci ci mettevo poco a inventarlo e raccontarlo. Ho cominciato a sciare a nove anni, nel 1948, e lo facevo regolarmente — accanitamente — ogni inverno. Anche d’estate, al durissimo Stelvio di allora. Ero di sicuro più a mio agio con lamine e scarponi che con boccagli e pinne.

Ci misi pochissimo a sistemare il romanzo, anche se in pratica significò riscriverlo tutto. Ma l’impianto era lo stesso. Mario Spagnol mi lasciò rosolare ancora un paio di mesi, poi finalmente in novembre mi diede la sospirata risposta. Mi faceva un contratto per il primo romanzo — che fu Una porta di luce, febbraio 1998 — per il resto si sarebbe visto.

Intanto si era purtroppo scatenata in lui la tremenda malattia che ce lo avrebbe portato via di lì a un paio di anni, e faticava moltissimo a leggere i testi che gli venivano proposti. Ma, uomo di ferro, voleva essere lui a decidere.


Così la seconda parte del progetto, pur pronta da mesi, faticò ad arrivare a pubblicazione, anche se alla fine divenne realtà con il romanzo intitolato Codice Ombra, autunno 1999.

Spagnol ci lasciò pochissimi giorni dopo, e la progettata terza parte rimase come in un limbo, palleggiata tra me e suoi successori, impegnati forse a dimostrare di essere bravi come lui. Più di lui, caso mai… Contenti loro…

Va be’, dopo tanti anni la terza parte è arrivata a conclusione ed è questo romanzo, Il Segreto dell’Azteco. E con esso arriva a conclusione anche quella che io chiamo "Trilogia delle Luci". Buona lettura.

venerdì 15 luglio 2016

I "donzelli" del Veglio della Montagna…

Il Castello di Alamut (Iran) oggi

Così Marco Polo nel Milione. Ma adesso? Da dove partono? Chi li manda?

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Del Veglio de la Montagna e come fece il paradiso, e li assassini.

Milice è una contrada ove 'l Veglio de la Montagna solea dimorare anticamente. Or vi conterò l'afare, secondo che messer Marco intese da più uomini. 
Lo Veglio è chiamato in loro lingua Aloodin. Egli avea fatto fare tra due montagne in una valle lo piú bello giardino e 'l piú grande del mondo. Quivi avea tutti frutti (e) li piú begli palagi del mondo, tutti dipinti ad oro, a bestie, a uccelli; quivi era condotti: per tale venía acqua a per tale mèle e per tale vino; quivi era donzelli e donzelle, li piú begli del mondo, che meglio sapeano cantare e sonare e ballare. E facea lo Veglio credere a costoro che quello era lo paradiso. E perciò 'l fece, perché Malcometto disse che chi andasse in paradiso, avrebbe di belle femine tante quanto volesse, e quivi troverebbe fiumi di latte, di vino e di mèle. E perciò 'l fece simile a quello ch'avea detto Malcometto; e li saracini di quella contrada credeano veramente che quello fosse lo paradiso. 
E in questo giardino non intrava se none colui cu' e' volea fare assesin[o]. A la 'ntrata del giardino ave' uno castello sí forte, che non temea niuno uomo del mondo. Lo Veglio tenea in sua corte tutti giovani di 12 anni, li quali li paressero da diventare prodi uomini. Quando lo Veglio ne facea mettere nel giardino a 4, a 10, a 20, egli gli facea dare oppio a bere, e quelli dormía bene 3 dí; e faceali portare nel giardino e là entro gli facea svegliare. 

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Quando li giovani si svegliavano e si trovavano là entro e vedeano tutte queste cose, veramente credeano essere in paradiso. E queste donzelle sempre stavano co loro in canti e in grandi solazzi; e aveano sí quello che voleano, che mai per loro volere non sarebboro partiti da quello giardino. E 'l Veglio tiene bella corte e ricca e fa credere a quegli di quella montagna che cosí sia com'è detto. 
E quando elli ne vuole mandare niuno di quegli giovani ine uno luogo, li fa dare beveraggio che dormono, e fagli recare fuori del giardino in su lo suo palagio. Quando coloro si svegliono (e) truovansi quivi, molto si meravigliano, e sono molto tristi, ché si truovano fuori del paradiso. Egli se ne vanno incontanente dinanzi al Veglio, credendo che sia uno grande profeta, inginocchiandosi; e egli dimand[a] onde vegnono. Rispondono: «Del paradiso»; e contagli tutto quello che vi truovano entro e ànno grande voglia di tornarvi. E quando lo Veglio vuole fare uccidere alcuna persona, fa tòrre quello che sia lo piú vigoroso, e fagli uccidire cui egli vuole. E coloro lo fanno volontieri, per ritornare al paradiso; se scampano, ritornano a loro signore; se è preso, vuole morire, credendo ritornare al paradiso. 
E quando lo Veglio vuole fare uccidere neuno uomo, egli lo prende e dice: «Va' fà cotale cosa; e questo ti fo perché ti voglio fare tornare al paradiso». E li assesini vanno e fannolo molto volontieri. E in questa maniera non campa niuno uomo dinanzi al Veglio de la Montagna a cu'elli lo vuole fare; e sí vi dico che piú re li fanno trebuto per quella paura…

giovedì 2 giugno 2016

Anni Cinquanta-Sessanta. A quei tempi si studiava…



19 febbraio 1964. Il prof. Armando Sapori, allora Rettore della Bocconi, si congratula con me per la Laurea
Ho compiuto 77 anni. Tempo di bilanci: Dare, Avere, Saldo. Tra le altre cose ho deciso di passare allo scanner la mia tesi di laurea, discussa alla Bocconi nel febbraio 1964 con il prof. Giovanni Demaria — esimio economista —, per renderne in qualche modo disponibile ai posteri il testo. Non la leggerà mai nessuno (400 pagine circa…), ma non importa: ho una discreta fiducia nel valore di tutto il mio lavoro. Ne pubblico qui l’indice.

Chi per caso fosse interessato può scaricarne il testo completo da qui in formato .pdf o .epub

(Vi prego di notare l’aspirante scrittore “impegnato” che si nascondeva già allora al punto 5 del Capitolo Nono…)



TITOLO


RAPPORTI TRA INCIVILIMENTO E PROGRESSO ECONOMICO NELLA DOTTRINA ITALIANA DEL XIX SECOLO E NEGLI STUDI CONTEMPORANEI


INTRODUZIONE


1) Definizione di progresso economico ..................................................................2

2) Teorie classiche del progresso ............................................................................7

3) Il marxismo ortodosso ......................................................................................16

4) Teorie post-classiche ........................................................................................24

5) Il marxismo moderno .......................................................................................31

6) Le metodologie moderne ..................................................................................37

7) Loro parzialità ed esigenza di teorie generali ...................................................41

8) Propagatori ed entelechiani ..............................................................................47

9) Definizione di incivilimento ..............................................................................52

10) Se si possa svolgere la teoria dell’incivilimento in termini di propagazione. 64


PARTE PRIMA - La dottrina italiana del XIX secolo: i fattori naturali, giuridici, morali e politici dell’incivilimento e le priorità della scuola italiana sul tema ....................68


CAPITOLO PRIMO - Gian Domenico Romagnosi: l’incivilimento come funzione della natura e del diritto ..............................................................................................................69


1) Del principio direttivo già contenuto nella definizione della scienza ................70

2) Del divorzio fra economia e giurisprudenza e delle sue conseguenze ...............75

3) Della convivenza sociale condizione inderogabile di vita per il particolare .......79

4) Degli errori della teoria economica ufficiale e del carattere operativo della economia politica ......................................................................................................................83

5) Dell’incivilimento come principio di determinazione del problema economico 89

6) Delle potenze costituenti dell’incivilimento ........................................................99

7) Della libera e universale concorrenza ................................................................105

8) Conclusioni critiche ............................................................................................113


CAPITOLO SECONDO - Melchiorre Gioia: la priorità della scuola italiana sul tema dell’incivilimento ....................................................................................................121


1) La polemica con la scuola francese ....................................................................122
2) La polemica con la scuola inglese 128
3) Le origini italiane del tema ..............135 
4) Degli impulsi e dei mezzi dell’economia ...........................................................138
5) Conclusioni critiche ............................................................................................144


CAPITOLO TERZO - Carlo Cattaneo: l’incivilimento come funzione  del pensiero umano.................................................................................................147


1) Le origini romagnosiane ....................................................................................148
2) Della bipartizione della scienza economica .......................................................151
3) Della duplice natura del pensiero .....................................................................160
4) Del pensiero come fattore dinamico .................................................................169
5) Conclusioni critiche ............................................................................................175


CAPITOLO QUARTO - Marco Minghetti: l’incivilimento come legge morale di proporzione degli elementi della civiltà ......................................................................................179


1) Del metodo dell’economia: parzialmente razionale e storico ............................180
2) Di una definizione dell’economia come scienza e come arte .............................187
3) Delle attinenze dell’economia con la morale ......................................................192
4) Della legge dinamica di proporzione ...................................................................197
5) Delle attinenze dell’economia con il diritto .........................................................202
6) Conclusioni critiche .............................................................................................207


CAPITOLO QUINTO - Giuseppe Mazzini: l’incivilimento come funzione della libertà e dell’associazione degli individui ...............................................................................210


1) Della rivoluzione come progresso qualitativo della società ..................................211
2) Del duplice aspetto del principio dell’incivilimento .............................................217
3) Degli strumenti preposti al principio associativo .................................................222
4) Conclusioni critiche ...............................................................................................225

PARTE SECONDA - Il pensiero contemporaneo: i compiti delle imprese e la funzione dello Stato nella realtà industriale moderna ......................................................................228


CAPITOLO SESTO - L’eredità schumpeteriana: la nuova gerocrazia tecnica e il secondo stadio del capitalismo .................................................................................................229


1) Premessa .................................................................................................................230
2) Il mito della nuova gerocrazia tecnica ...................................................................236
3) La teorica del neocapitalismo ................................................................................244
4) Conclusione critiche ................................................................................................256


CAPITOLO SETTIMO - Per un riesame della teoria economica del socialismo: la funzione di preferenza dello Stato e le sue attinenze con la funzione di incivilimento .................263


1) Premessa ...................................................................................................................264
2) La funzione di preferenza dello Stato ......................................................................266
3) L’interazione tra preferenze statali e preferenze individuali ...................................272
4) Conclusioni critiche ...................................................................................................276


CAPITOLO OTTAVO - Il “cattolicesimo sociale” e il suo contributo al problema del progresso umano .............................................................................................................................279


1) Premessa .....................................................................................................................280
2) Le origini del “cattolicesimo sociale” .........................................................................284
3) I suoi sviluppi più recenti ...........................................................................................289
a) La storia e l’evoluzione umana nel pensiero cattolico ...........................................291
b) Il “pluralismo” e l’eternità della Chiesa .................................................................298
c) II cattolicesimo sociale il problema economico ......................................................301
d) I problemi dell’impresa e del lavoro .......................................................................318


CAPITOLO NONO - La continuità italiana sul tema dell’incivilimento e la posizione dell’individuo nella società industriale ............................................................................326


1) Premessa .......................................................................................................................327
2) Luigi Einaudi e la libertà economica ...........................................................................330
3) Antonio Gramsci e Piero Gobetti: la nuova società industriale e i problemi della democrazia ........................................................................................................................339
4) Gaetano Salvemini e il futuro industriale del Mezzogiorno ........................................350
5) I problemi della comunicazione letteraria di fronte alla nuova realtà industriale ......356


CONCLUSIONI GENERALI ..............................................................................................363

giovedì 21 aprile 2016

A proposito di "romanzo - romanzo"…







I cinque finalisti del Premio Campiello 1985:
Montefoschi, Montesanto, Pazzi, Tabucchi, Biondi

Vedo che sta tornando in auge l’espressione “romanzo-romanzo”. Mi fa molto piacere, visto che il primo a coniarla (e non senza subire dure reprimende) sono stato io nella prima metà degli anni 1980, per cercar di spiegare il tipo di romanzo che intendevo fare. Un tipo di romanzo praticamente vietato dalle sinforose dello striminzito “esercizio di stile”.
Eccone qui un esempio in un articolo che mi è stato chiesto dal Gazzettino di Venezia nell’agosto 1985 per presentare il mio “Gli occhi di una donna” in vista della finale del Premio Campiello (è stato chiesto a tutti e cinque i finalisti).
«Hai osato l’inosabile», mi aveva tuonato telefonicamente nell’orecchio il bizzarro Carlo Vigorelli dopo aver ricevuto e letto la sua copia d’obbligo in quanto giurato tecnico del Premio…
Romanzo-romanzo, già…



Era una luminosa domenica di fine primavera, qualche anno fa, sopra Bellagio, a cavallo dei rami del lago di Como. Nel giardino dell’antica dimora gentilizia l’anziana dama, dominatrice incontrastata della casa e della famiglia, aveva creato un silenzio religioso semplicemente mettendosi a raccontare. Con la sua voce appena incrinata dall’età e con un tono arguto, ironico, capace di incantare, narrava lontane vicende lombarde: amori, matrimoni, mésalliances. Vera narratrice onnisciente, non ignorava e non tralasciava nulla. Cognomi e nomi, nascite e morti, vite e miracoli fluivano tra un ondeggiare spiritoso di capelli quasi candidi. Che donna straordinaria. E che occhi.
Con precisa dovizia di particolari, a un certo punto si dilungò sulla complessa vicenda matrimoniale di una certa figliola della grande industria lombarda con un vivace rampollo dell’aristocrazia lombarda più antica. Una vicenda da cui era disceso un cospicuo numero di eredi e problemi. «Tutto sommato», concludeva la narratrice prima di passare ad altro succulento e ormai innocuo pettegolezzo postumo, «si vede che Dio li aveva fatti perché stessero insieme. E in definitiva non si sono poi neanche trovati tanto male. Se non fosse stato per il modo come si è concluso il loro matrimonio…» Un modo davvero singolare, non certo da vite comuni. Da romanzo, caso mai. Un piccolo scandalo, tra il boccaccesco e il tragico, che qui non c’è bisogno di riferire.
Stentavo a credere alle mie orecchie, alla straordinaria fortuna che mi si presentava: avevo a disposizione, bell’e pronta, soltanto da infiocchettare un po’, la fine di un romanzo. E per le mie «ricette di fabbricazione» la fine è un ingrediente fondamentale: mai mettersi a scrivere una storia se non si sa come va a finire. Sarà poi un grandissimo divertimento inventare gli svolgimenti, le trappole e i sotterfugi necessari per ritardare e complicare il più possibile l’arrivo di tale fine. Così, nell’inseguimento, dopo l’autore si divertirà anche il lettore.
Dunque disponevo della fine di un romanzo. Potevo cominciare a lavorare. Bisognava pensare un attacco. Chiesi permesso e, immerso in rosei pensieri, uscii dalla cerchia d’ombra della secolare farnia che dava frescura alla compagnia, inoltrandomi nel prato, verso il bosco. Venni richiamato al presente da un nitrito sonoro. Una giumenta bionda, quasi bianca, si muoveva solenne nel suo recinto, cercando di scacciare a colpi di coda le mosche che l’assediavano e a calci secchi il pony che la seguiva testardo. Mi riscossi dai miei pensieri con un trasalimento. L’antica dimora gentilizia, la farnia, il prato, il lago, il bosco, la bella giornata, la giumenta… Disponevo anche di un possibile inizio di romanzo. Bisognava trovare il protagonista.
Un protagonista che — sempre secondo le mie «ricette di fabbricazione» del romanzo — non deve essere un superuomo, un eroe con cappa e spada, un personaggio del destino, ma un comune essere umano, testimone di tutti gli eventi dominanti del romanzo. Un personaggio, cioè, che non “crea” la vicenda, ma senza la cui presenza essa non avrebbe ragione di essere, non sarebbe nemmeno pensabile. Mi erano rimasti fissi nella memoria, incisi, gli occhi della squisita padrona di casa. Quante cose avevano visto. Oltre tre quarti di secolo di Storia con la “S” maiuscola. Da tempo desideravo confrontarmi con una figura femminile di rilevante importanza romanzesca, e l’occasione sembrava straordinariamente propizia. Una donna, dunque, davanti ai cui occhi scorresse e si intrecciasse il reticolo di eventi che avrebbe dovuto condurre lo scrittore (e per il suo tramite anche il lettore) da quel cielo del lago di Como — «splendido, in pace» —, dalla giumenta nel suo recinto, su quel prato ai margini del bosco, fino alla conclusione di un matrimonio non perfettamente assortito ma di lunga durata: una conclusione singolare come quella raccontata dall’anziana signora, anche se ovviamente del tutto rielaborata e resa definitivamente romanzesca. Così, in pochi minuti di un pomeriggio di sfolgorante luce lariana, era nato l’abbozzo di quello che sarebbe diventato il romanzo Gli occhi di una donna.
L’ambientazione era obbligata, oltre che amatissima: il Lago di Como, sopra Bellagio, e Milano. Il periodo, più o meno quello che andava dalla Prima Guerra Mondiale fino al secondo dopoguerra. Con un finale che vedesse la “donna degli occhi” arrivata a un’età quasi pari a quella della straordinaria narratrice che mi aveva fatto balenare l’idea. Bisognava mettersi a lavorare. Per molto tempo le biblioteche divennero un’appendice della stanza dove solitamente lavoro. Occorreva inventare in tutti i dettagli due famiglie, una di “grande industria” e l’altra di “antica aristocrazia”, con antenati, fortune, dimore, parenti, frequentazioni. Con radici nei secoli. Nacquero così gli industriali Lucini e gli aristocratici Olgiati Drezzo. Si inventarono il villaggio di Prato Sant’Antonio e la Farnia. Davanti alla mia immaginazione si accalcarono bisnonni e nonni, padri e madri, zii e cugini. Si perpetrarono signorilissimi sperperi di antichi patrimoni gentilizi e, sul versante opposto, si compirono oculati accumuli di beni “borghesi”. Nacquero da una parte Emma (aspirando, non piccola immodestia giovanile d’autore, ad aggiungerne un’altra alla schiera di quelle che già avevano nobilitato la storia della letteratura: Emma Bovary, Emma Woodhouse…) e dall’altra Luca Giorgio, destinati per contorta e romanzesca volontà del fato narratore a diventare moglie e marito.
Si dovettero studiare storia e ambienti della Grande guerra e della Seconda guerra, della ricostruzione industriale postbellica. Seguirono dolori, amori, matrimoni, nascite, morti, complicazioni, contrasti, figli, nipoti, stranezze, oculatezze, imprudenze: insomma, un romanzo-romanzo, con tutte le carte in regola e gli ingredienti canonici. E via e via e via, fino ai giorni che stavo vivendo mentre scrivevo, quando ancora gli occhi di Emma Lucini, che tanto avevano visto come quelli dell’anziana dama ispiratrice della vicenda, avevano modo di assistere a fatti e misfatti degli ultimi eredi delle due famiglie, sempre lì, tra Milano e il lago di Como, a calcare le scene di un romanzo, che non sono poi tanto diverse da quelle della nostra vita.