domenica 14 gennaio 2018

Perdere la Trebisonda


Questa volta è andata bene, l'aereo della turca Pegasus è rimasto lì fra color che son sospesi e nessuno si è fatto male, quindi il pilota non ha "perso la Trebisonda" fino alle estreme conseguenze.
Perché proprio questo era il significato originale del vecchio motto italiano. Lo hanno creato nel Medioevo i marinai delle navi che trasportavano merci nel Mar Nero verso Costantinopoli provenendo dall'antica Tana (la greca  Τάναϊς, Tánaïs).
Era una città della Palude Meotide, il Mar d'Azov, alla foce del Don, importante terminale della Via della Seta settentrionale; colonia genovese e prima ancora veneziana, tant'è vero che da lì iniziarono i loro viaggi verso la Cina i tre Polo.
Per raggiungere Costantinopoli, le navi, uscite dalla Meotide (Azov), attraversavano il Mar Nero fino alla costa settentrionale dell'Anatolia avendo come punto estremo di riferimento Trebisonda, la greca Τραπεζούντα (Trapesunta), ora Trabzon, per poi proseguire a ridosso della costa fino all'imbocco del Bosforo e da lì raggiungere i ricchi fondachi (veneziani e genovesi) del Corno d'Oro a Costantinopoli.
Ma il Mar Nero è infido, flagellato da furibonde tempeste, e se il nocchiero "perdeva la Trebisonda", ovvero non riusciva riparare in quell'estremo riparo a Oriente, la sua nave si perdeva nell'ansa della Colchide e nessuno la vedeva più se non presumibilmente i pirati georgiani…