giovedì 20 agosto 2020

Elena Spagnol: La cucina come un romanzo (un malinconico ricordo)

Elena Spagnol (193* - 2020), due grandi passioni nella vita: il romanzo e la cucina. La seconda passione l’ha portata in una trentina di anni a pubblicare 22 libri di cucina che hanno venduto complessivamente oltre un milione di copie, traguardo davvero invidiabile. È stata definita la “creatrice della cucina veloce”. “La prima a dare ricette in minuti, la prima a insegnare la pentola a pressione”, ha scritto di lei il “Corriere della sera”. In questi giorni al suo lavoro si aggiunge una nuova perla dal titolo addirittura icastico: In cucina. E il sottotitolo aggiunge Come mangiare d’ora in poi. Oltre 1.000 pagine con davvero tutto per la cucina. Non soltanto ricette per tutti i gusti, ma gli strumenti, gli attrezzi, i recipienti, la congelazione, la spesa, le scorte, gli ospiti, i menu. Di questo suo libro (e di altro) abbiamo parlato con lei.

Abbiamo detto di due sue grandi passioni. È così? E quale delle due è venuta prima?

Due, sì, essendo miseramente fallita quella per la musica. Per quanti sforzi abbia fatto, non sono mai riuscita a imparare a suonare il pianoforte o a cantare. Non sono mai neanche riuscita a imparare a scrivere a macchina, per altro. Ed è senz’altro nata prima la passione per la lettura. Ho cominciato a sette, otto anni, e questa mia passione la mamma l’ha usata per convincermi a studiare. “Se pigli un bel voto”, mi diceva, “ti regalo un bel libro.” La cucina venuta molto dopo, con la famiglia 


Parliamo dunque prima di “romanzo”. Al di fuori dell’ambiente editoriale non molti sanno che la sua passione per la lettura è poi diventata una professione. Né si sa di certi suoi suggerimenti azzeccatissimi, decisivi per la pubblicazione o meno di libri destinati a diventare straordinari best seller. Quali ricorda di più?


Soprattutto uno. Alla fine degli anni Settanta ero a Londra con mio figlio Luigi, e mio marito Mario mi aveva raccomandato di andare nelle librerie a chiedere quali fossero i libri che in quel momento si vendevano di più. Mi è stato mostrato Hungry as the sea, quello che in Italia è poi diventato Come il mare di Wilbur Smith.


Vista adesso potrebbe sembrare una scelta facile, obbligata, ma allora… 


Infatti. A quei tempi Wilbur Smith era già stato pubblicato in Italia con scarsissimo successo da due editori, che lo avevano mollato. Ma mi piace anche ricordare di aver sostenuto con calore la pubblicazione di Richard Bach. I suoi erano libri strani, difficilmente collocabili, davanti a cui gli editori esitavano. E poi ce ne sono stati tanti altri. Radici, per esempio. 


Mai venuta la voglia di scrivere narrativa?


Altroché se mi è venuta, ma non l’ho mai messa in pratica. Non fa per me, non so scrivere una storia.


Però tutti dicono che le sue ricette sono scritte molto bene, con piglio da scrittore.


Hanno anche sottolineato la mia capacità di sintesi. Per forza, ho risposto: all’università il mio esame di latino stato su Tacito. È lì che ho imparato. 


Passiamo alla cucina e facciamo un giochetto: paragoniamola al romanzo. Chi è, in cucina, il “buono”, il personaggio che quando c’è siamo sicuri del successo. E chi il “cattivo”?


Uhm, il “buono” è difficile da dire. Ce ne sono tanti. Quanto al “cattivo”, può esserlo davvero soltanto il cuoco, anche se c’è un ingrediente che ha una fama pessima: la panna. Ma è un’ingiustizia totale. Significa soltanto non saperla usare. È una questione di misura.


Anche nel romanzo si scopre spesso che il presunto “cattivo" in realtà è buono. Ma il “buono” “buono-buono"? Ci deve pur essere.


In Italia è senz’altro la pasta. Sì, la pasta, in una qualsiasi delle sue mille forme.


E la grande storia d’amore della pasta con chi è? Con chi la facciamo sposare perché siano tutti contenti, la famiglia, gli invitati, gli officianti, il pubblico?


Con il ragù. La pasta è buona sempre, ma con il ragù il successo è assicurato. Ed ecco un caso lampante in cui la presunta “cattiva” panna, usata con misura, è invece buonissima.


Arriva il Natale con i suoi cenoni o pranzi. Vogliamo suggerire un menu preso dalle ricette di In cucina?


A prescindere da antipasti e verdure, ad libitum, i cappelletti sono d’obbligo, in brodo, magari cotti in un magnifico brodo di cappone (anche ripieno). Oppure asciutti, con  appunto  la panna.


Il secondo?


Possibilmente misto. Il cappone  semplice o ripieno  con cui si è fatto il brodo, e un carré di vitello con osso come quello della ricetta del mio libro.


Che noi riportiamo qui sotto. E il dolce?


Il panettone è anch’esso quasi d’obbligo, magari con il mascarpone. Altrimenti (o in aggiunta) un magnifico Monte Bianco.


[Il pezzo proseguiva con due squisite ricette tratte dal libro — Il carré di vitello con osso e Il Monte bianco —, ma temo di non poterle riprodurre in quanto protette da copyright.]

venerdì 7 febbraio 2020

A proposito di fake news sui cinesi…

Leggere le accorate lamentazioni di questi giorni sui danni provocati in prospettiva dal ridursi del numero dei turisti CINESI che verranno in Italia mi riempie di inquieti (divertiti, sdegnati?) ricordi.

Autunno 2010, appena tornato dal mio secondo viaggio in Tibet (ottavo in Cina) con discesa in Nepal, a un pranzo in una bellissima villa su un laghetto varesotto, racconto della straordinaria (ripeto "straordinaria") Strada dell'Amicizia che in un lampo porta da 5000 metri a 1300. Chi me l'ha fatto fare!

1) Un'assatanata ospite dei padroni di casa, mai vista prima e mai per fortuna rivista, si mette a urlare che sto mentendo, che quella strada è un tratturo, tenuto in condizioni vergognose dai sopraffattori cinesi per bloccare il Tibet. Ho un bel cercare di spiegarle che è vero: da Kathmandu al confine, in territorio nepalese, è un tratturo, perché evidentemente i poverissimi nepalesi hanno altre comprensibili priorità, ma dal confine di Kodari/Nyalam in su, fino a Lhasa e volendo a Pechino e Shanghai, è un biliardo, oltre che un molteplice miracolo di ingegneria. Niente da fare, sono il solito comunista accecato dall'ideologia e uno squallido mentitore al soldo della bieca Internazionale che mente sapendo di mentire. Tutti i commensali (tra di essi giornalisti e un ex proprietario di giornale) annuiscono convinti e mi guardano con espressioni di sdegnato rimprovero. Mai visto quella strada neanche al cinema, loro, ma amen.

2) Mi scappa di dire (di nuovo: chi me l'ha fatto fare!) che i cinesi che si possono permettere di viaggiare all'estero sono ormai valutati in 250 milioni (nel 2010), quindi da tenere d'occhio come potenziale per il nostro turismo.

Di nuovo, non lo avessi mai fatto. Vengo coperto di rinnovate, furibonde contumelie: sono accecato dall'ideologia, un falsario maoista (mai stato) eccetera. Ho capito che in quella casa di ex amici non sarò mai più invitato. Ci rimetto qualcosa? Io francamente no.

Chissà se adesso tutta quella strana gente, avida di fake news, si lamenta:

1) dell'esistenza appunto delle fake news

2) della presumibile diminuzione dell'afflusso di turisti cinesi in Italia, che magari affliggerà i LORO affari

Chi è il falsario?

domenica 26 gennaio 2020

Le auto del Sahara


Assekrem









Leggo un articolo sulle auto più strane che hanno partecipato alla Parigi - Dakar e mi viene in mente la scena che ho raccontato nel mio Güle güle. Parti con un sorriso. Assekrem, montagne nel cuore del Sahara algerino, primi Anni Settanta del Novecento…

Incontro nella sabbia
«Dopo essere rimasto qualche istante seduto a contemplare il farsi sempre più luminoso di milioni di stelle nella cupola buia del cielo, decido di allontanarmi di quattro passi tra le rocce, non senza essermi messo le calze e aver infilato i pantaloni lunghi dentro le finte desert boot, a labile difesa contro malintenzionati denti di serpe o aculei di scorpione ("C'est l'Afrique..."). Mi inerpico di qualche metro per guardare oltre un dosso. Non ho la più vaga idea di dove io mi trovi, né di dove siano i quattro punti cardinali.
Finito di inerpicarmi, guardo. Guardando, vedo. In una valletta a colori rossastri e verdi, illuminata dai lampi e dai bagliori di un inferno artificiale wagneriano, si sta svolgendo una scena da Oro del Reno, un lavoro da Nibelunghi. Lampi e bagliori provengono da fiamme ossidriche in furiosa funzione. I Nibelunghi non sono però tedeschi ma francesi. Hanno disposto un numero imprecisato di 2CV a formare un cerchio come un accampamento di coloni del West, e al centro del medesimo lavorano come ossessi, cicalando, gridandosi ordini e consigli, qualche sonora bestemmia. Sono troppo lontani perché io possa capire con esattezza.
Mi sento una mano su una spalla. È il ragazzino Beluba, con il sorriso dei suoi denti radi.
«Che cosa fanno?» gli chiedo.
«Ils travaillent» risponde con una scrollata di spalle. Ho già capito da un pezzo che niente riesce a stupirlo. E mi invita a raggiungere l'Halimi al sabbioso desco a base di kuskus e caprone. Lui, povera anima schiava, sembra nutrirsi solamente di datteri.
Quella sera la conversazione ristagna. Il gelo dei ben oltre 2.500 metri desertici di altitudine impera, unito alla scarsità di ossigeno. Siamo stanchi e ci dobbiamo alzare prima del sole, per salire a vedere l'alba sulla vetta (io) e per portare ai dispensieri dei monaci le loro provviste (le mie due guide). Mi addormento di schianto nella coperta che ho comperato ad Algeri per usarla come sacco a pelo, e altrettanto di schianto mi sveglio al primo barlume di luce.
Già Halimi sta mettendo in moto. Partiamo immediatamente. Abbiamo poche centinaia di metri da percorrere, ma tutti in prima e non so con quali e quante ridotte. Sfiliamo affannati di fianco all'accampamento dei Nibelunghi francesi, anche loro occupati nelle operazioni del risveglio. Molte mani si levano a salutarci. E appare finalmente chiaro lo scopo del loro lavoro.
No, non hanno fabbricato l'Anello di Alberich. Molto più semplicemente hanno per tutta la notte tagliato, segato, saldato e ricostruito, facendo di un paio di 2CV un unico automezzo, metà grigio e metà rosso, che simile al vitello d'oro occhieggia altero dal centro del cerchio…»