tag:blogger.com,1999:blog-35830057994454270102024-03-05T21:55:13.619+01:00Il blog dello scrittore Mario BiondiPer scambiarsi opinioni su libri e viaggi, libri di viaggio e viaggi nei libri. E altro…Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.comBlogger47125tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-91260914606403277682021-08-23T12:15:00.001+02:002021-12-08T18:04:01.561+01:00L'Alessandrina. Storia di casini<p><i><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjyvC8x1YBRYJx6nRhI8OPOFYQSpe0yXdTMscBa2jBUf55n-c9oG-Pk0sA-fwooCVSZo0npkriLr_Owiv7XRODx6OBPmu18QXfry7jRp-BNkNj1RiIsp8oFDhmUI0b8iPtaPjkGEc42ZI0/s1024/dollaro-via-volpi.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="682" data-original-width="1024" height="287" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjyvC8x1YBRYJx6nRhI8OPOFYQSpe0yXdTMscBa2jBUf55n-c9oG-Pk0sA-fwooCVSZo0npkriLr_Owiv7XRODx6OBPmu18QXfry7jRp-BNkNj1RiIsp8oFDhmUI0b8iPtaPjkGEc42ZI0/w430-h287/dollaro-via-volpi.jpg" width="430" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"></td></tr></tbody></table>Di questi tempi pare che di sesso non si possa fare a meno di infilarne a bizzeffe in qualsiasi storiella, per quanto banale. Tonnellate di masturbazione, quintali di fellazione. Va be'. A me molto male incolse quando, in un romanzo perbene dei primi anni Novanta, mi permisi di dissertare sulle case chiuse d'Italia (prima che diventassero "aperte" ovvero fossero chiuse sul serio). Che scandalo, che vergogna, soprattutto le signore lettrici, indignate, furibonde…</i></p><p><i>P.S. Nella foto il portone di quello che era il Dollaro, a Como, dove ho lasciato distrattamente la verginità, nel 1957. Per 1000 lire…</i></p><p>Dal mio <i>Due bellissime signore</i> (ovvero: <i>Destino</i>, 2a parte)</p><p>« In un mese imprecisato del 1510 il signor Pietro Boldoni, borghese di Bellano, località famosa per l’attrazione rappresentata dall’Orrido, aveva portato a Como un “molendinum seu turnum”, ovvero, insomma, un mulino da seta, dando avvio alla prima forma più o meno organizzata di produzione del prezioso tessuto nella zona. Perciò, a far tempo dal 1887, in quanto “introduttore dell’arte serica”, la città, grata, gli aveva dedicato quella che fino ad allora si era chiamata Contrada dei Tre Prestini alle Cinque Vie, o anche Contrada della Virtù: una via che a un capo si apriva in uno slargo. Via Boldoni e, per estensione, piazzetta Boldoni.</p><p>Alla famiglia dei nobili Volpi, invece, la città era grata per motivi di storico prestigio. Un Girolamo cosmografo e poeta. Un Giovanni Antonio vescovo e inviato al Concilio di Trento. Un Ulpiano arcivescovo di Rieti e nunzio apostolico. Un Giampietro vescovo di Novara. Gente di una pietas a prova di bomba, a cui la città aveva ritenuto suo preciso e pio dovere dedicare la via nota un tempo come “Contrada dell’Onor Patrio” e poi “della Caserma Volpi”.</p><p>Bene: chi alla metà del Ventesimo secolo saliva dal lago verso San Fedele e Portatorre attraverso via Boldoni, se appena appena deviava distrattamente un po’ sulla sinistra entrava in via Volpi già Contrada Caserma già Contrada dell’Onor Patrio. Dove, in spregio a ogni nobile pietas e persino prudenza, ai civici numeri 5 e 7 aveva sede un onorato casino. Un postribolo, per quanto elegante. Un lupanare, per quanto ben frequentato. Proprio nella via dei piissimi Volpi? Chissà perché. Forse in considerazione degli antichi nomi della suddetta via Volpi e del fatto che chi sta in Caserma, avendo poco tempo da perdere poiché deve dedicarsi giorno e notte all’Onor Patrio, ha frequentemente bisogno di rapido ed esperto sollievo per la carne.</p><p>Insomma: era in questo onorato locale che concedeva i propri favori secondo tariffario l’Alessandrina. Rispettabile e apprezzata cortigiana che aveva saputo non buttarsi via. Eh, no. Al contrario: aveva saputo trattarsi bene. Bastava fare i conti. Dal giorno in cui aveva messo piede per la prima volta in una “casa” erano passati poco più di vent’anni. E il suo unico figlio, luce dei suoi occhi, ne aveva appena compiuti ventuno. Dunque non ci sarebbe stato da offendersi se qualcuno avesse detto che non era più una bambina. Sarebbe stato poco signore, un villano da trattare con le pinze, ma niente di più.</p><p>Era ancora una gran bella donna. Piaceva. Proprio magra non era mai stata, ma nemmeno grassa. Aveva le sue belle forme, ben conservate. Quando si metteva lì sul suo scranno, drappeggiata come le avevano insegnato due decenni di onesta professione, in modo da lasciar vedere e non vedere, gli uomini se la mangiavano ancora con gli occhi.</p><p>Perciò davanti a lei non si era mai aperta — né mai si sarebbe aperta — la fossa dei leoni. Il giro delle marchette a mille lire, via uno avanti l’altro. Il girone d’inferno delle case da battaglia. Militari di leva, teppa, apprendisti magnani, bifolchi che il sapone non sapevano nemmeno che cosa fosse. Il Poslaghetto, a Milano. Lo Squarciafico, a Genova. Via dell’Amorino, a Firenze. Più in giù, poi, chissà che cosa c’era. Quaranta al giorno, un colpo di straccio e via. Brrr. Per le povere disgraziate che precipitavano fino a lì in caduta libera non c’era salvezza. Piano piano finivano in Grecia, in Turchia, in Libano, in Egitto. Se non marcivano del tutto strada facendo.</p><p>Lei, invece, Elvira Cavaglia, detta l’Alessandrina per via della città d’origine — che non era affatto in Egitto ma in Piemonte —, dopo vent’anni di impeccabile servizio era ancora lì, nel giro alto. Nessuno aveva mai avuto motivo di lamentarsi di lei. Anzi, grazie a Dio i regalini extra che era riuscita a vendere o a nascondere in banca le avevano consentito di tirare grande il ragazzo senza che capisse niente. Era per lui, nato senza il cognome di un padre, che era stata costretta a fare il più antico dei mestieri.</p><p>Comunque il futuro si presentava tranquillo. Esentato dal servizio militare, il ragazzo lavorava in fabbrica già da un bel po’, e fra qualche anno lei avrebbe potuto raggiungerlo, ritirarsi, godersi l’ultimo scampolo di vita prima della vecchiaia e di quello che inevitabilmente la segue.</p><p>Per intanto continuava con il suo giro alto. A Milano il Disciplini, con gli alti troni dorati studiati apposta per procedere con comodo a certi servizi per così dire di bocca buona. Oppure il San Pietro all’Orto, con i suoi specchi a uso dei signori che più che fare gli piace guardare. O il Porlezza, con tutta la sua gente “su”: giornalisti, letterati, pittori. O l’Alberto Mario, quando aveva avuto bisogno di rifarsi i denti: la direzione, che le voleva sempre impeccabili, aiutava le signorine a pagarsi l’odontoiatra.</p><p>A Pavia il Grotta Azzurra, sempre pieno di studentelli universitari con tanta fame e pochi soldi, che le ricordavano il suo ragazzo, nascosto su ad Alpignano dagli zii, e la riempivano di istinti materni. Certe volte, con loro, non stava a guardare troppo il tempo, così poi la signora la sgridava. Ma di rado. Erano talmente spaventati, poveri ragazzi, che di solito in un momento era fatta. Qualche volta, però, avevano dei problemi, e bisognava avere un po’ di pazienza. Poi, appena fatto, scappavano come se avessero visto il diavolo sbucare di punto in bianco dal bidet appoggiato sul suo treppiede di metallo.</p><p>A Genova il Castagna. A Parma il Borgo Tasso. A Firenze la Rina.</p><p>E così via. Più giù di Firenze, comunque, l’Alessandrina non aveva mai avuto bisogno di andare, anche se per qualche tempo, agli inizi della carriera, un certo individuo aveva fatto di tutto per convincerla ad andare in una casa di Bari, dove, secondo lui, a ogni cambio di quindicina arrivava nientemeno che il re d’Albania con una valigetta piena di gioielli. Al Villino delle Rose. Una marchetta, quindici lire.</p><p>Bari? Con tutto il rispetto, per chi l’aveva presa quel margniffo? Dove poteva mai essere l’Albania? Che balla! Per fortuna gliel’avevano tolto di mezzo, che cominciava a farsi un po’ soffocante. Anzi, si era tolto di mezzo da solo. Storie di coltelli, roba con cui lei non aveva mai voluto avere niente a che fare. Il suo amore ce l’aveva già, ed era il figlio che cresceva ad Alpignano. Non era mai andata neanche a Roma, per quanto l’avessero richiesta un’infinità di volte dall”’Avignonese”. No, niente, non poteva allontanarsi troppo. E non voleva nemmeno.</p><p><b>Perciò adesso era lì, al Dollaro di Como, in via Volpi</b>. Un locale di prim’ordine. Discreto, elegante, gente fine, signoroni svizzeri. Non come i posti dove poteva anche capitare di morire d’infarto durante il lavoro, quelli nascosti nel vicolo nientemeno che giù davanti al Duomo, pieni di gente senza rispetto. In Duomo lei ci andava la domenica mattina prestissimo, prima che arrivasse gente, entrando di sbieco dalla porta della rana, dalla parte del Bar Argentino, la testa quasi completamente coperta da un bel foulard scuro di seta, a pregare Dio che tenesse un occhio di riguardo sul ragazzo che cresceva, che gli desse i mezzi di andare in case perbene, visto che era nato maschio e che quindi certe cose doveva per forza (e per salute) farle anche prima di sposarsi. Certo, non case signorili come quelle in cui lavorava lei, ma almeno pulite. Oneste. Non in certe stalle, povera anima.</p><p>In altre città, Dio andava a pregarlo in Santa Maria delle Grazie, in Santa Maria del Carmine, in Santa Maria di Carignano, alla Madonna della Steccata.</p><p>Chiamandosi di secondo nome Maria, era naturale che Elvira Cavaglia avesse una predilezione per le chiese dedicate alla madre di Gesù, donna poco fortunata anche lei, ma non è che ce ne fossero sempre a disposizione dappertutto. A Pavia, per esempio, andava a San Pietro in Ciel d’Oro. In Piemonte, invece, per evidenti motivi, non andava mai. Né in chiesa né a lavorare. Ci mancava altro che, presa la paga settimanale e messo il vestito buono, al ragazzo venisse voglia di mettere il naso, tanto per dare un’occhiata, al Babi di Porta Palazzo, diciamo, e ce la trovasse lì.</p><p>Comunque fosse, fino a quel momento Dio l’aveva ascoltata. Non era stato Lui, in definitiva, a dire che non bisogna tirare neanche la prima pietra, che la vita e il peccato sono cose difficili da farci i conti, che a sbagliare si fa in fretta, mentre non sempre è possibile trovare un rimedio così sui due piedi?</p><p>Lei Lo pregava, e Lui ascoltava. Dopo vent’anni di onesta professione in giro per quelle case onorate, qualche diritto l’Alessandrina se l’era conquistato. Se non altro quello di andare in chiesa da sola, la domenica mattina presto, la faccia nascosta con cura per non offendere nessuno.</p><p>La donna sollevò il ventaglio e si fece stancamente aria, quindi, generosa, ritirò fino poco sotto l’inguine il velo che le copriva le cosce, a beneficio dei guardoni. Sotto, non portava niente.</p><p>Pomeriggio di fiacca. Gente che aveva voglia soltanto di fare flanella. Un ragazzetto terrorizzato, seduto in fondo al lungo divano centrale, quasi abbracciato al suo pacco di libri di scuola legati con una cinghia verde di gomma ridotta a un filo. Doveva avere compiuto diciott’anni quel giorno ed eccolo lì, puntuale come un cronometro svizzero, oltre che regolarmente con il cuore in gola. Ma che conforto potevano dargli i libri che si schiacciava sul ventre? Gli fece un sorriso. «Andiamo?», accennò appena con le labbra, piegando la testa di lato in direzione della scala.</p><p>L’espressione del ragazzo, da spaventata si fece infelice. Si alzò di scatto e si avviò per uscire. Una volta che si fu tolti i libri dal grembo, si vide chiaramente che era messo bene. I pantaloni lunghi erano strettissimi. Forse ancora i primi che gli avevano messo. Gli altri, quelli nuovi che gli erano sicuramente stati regalati per i diciotto anni, li avrebbe inaugurati la domenica seguente. E prima o poi sarebbe ricomparso sfoggiandoli, un po’ meno terrorizzato, più scafato, già sentendosi un veterano, magari addirittura con addosso un completo elegante, o in compagnia di un coetaneo, poveri verginelli. L’Alessandrina lo seguì con uno sguardo affettuoso fino alla porta, augurandosi che anche il suo ragazzo, a Torino, trovasse una donna comprensiva come lei.</p><p>Gli altri rimasero tutti a sedere, immobili come tante statue di gesso. Figuranti. Gente da bar. Pidocchietti da sala corse. Mezze tacche del contrabbando con la Svizzera. Uomini che di giorno non avevano niente di preciso da fare. Tra loro, nemmeno uno svizzero dal bel portafoglio pieno di franchetti. Guardavano. Guardavano. Nell’aria non si sentiva volare una mosca. Il silenzio era rotto soltanto dal fruscio dei ventagli e dei veli, da qualche sbadiglio represso. Dall’angolo normalmente occupato dalla Tosca si stava diffondendo un odore pulito di acetone. Le signorine ospiti del Dollaro si stavano annoiando. E, come insegnava l’esperienza, le cose non potevano andare avanti così ancora per molto. La signora, dal trono vicino all’ingresso da cui dominava la sala, aveva già invitato due volte i neghittosi visitatori a salire ai piani superiori. Decisa, come sempre.</p><p>«Basta fare flanella. Forza, guardoni. Dove le abbiamo lasciate le palle? Muoversi, finocchi, che le signorine sono belle.»</p><p>Non si faceva impressionare da nessuno. Molto chic. Di lì a un po’, fatto scattare l’interruttore centrale della luce e dato di piglio all’apparecchio del Flit, li avrebbe fatti scappare precipitosamente, mettendosi a spruzzare come un’indemoniata e cercando di prendere in faccia certi fin troppo noti habitué della flanella.</p><p>Il clima di Como non è mai stato dei più secchi. Nell’aria ristagna costantemente una certa reminiscenza di lago. Come un generalizzato velo di umidore, tendente a farsi cappa con il crescere del caldo. L’Alessandrina non riuscì a resistere al fascino ipnotico dello sbadiglio, senza nemmeno vedere da che parte arrivasse. La bocca le si aprì da sola. La coprì a metà con il ventaglio, mentre le cosce, appena velate del lacustre umidore, si mettevano a dondolare in cerca di frescura e lo sguardo rimaneva blandamente fisso su quella porta attraverso cui fra pochi istanti sarebbe avvenuto l’esodo di massa dei pecoroni scacciati dalla nuvola insetticida.</p><p>Invece eccolo lì in piedi sulla soglia, il cappello in mano, l’impermeabile sul braccio. L’uomo del mistero… »</p>Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-86885087944488871532021-08-20T12:23:00.000+02:002021-08-20T12:23:01.905+02:00Autunno 2003. Khiva, Uzbekistan. Omaggio all'Algoritmo<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhBgH8UkrMQhkpQcETkXv4z0KJ-rPg6jxHuo5LpuHfRViz0oZcdfSye_gedkwgqJDn2YSsX8vhTFVTotUUitPAz5TNZ1tzkHWsaC1B47bRDWIyqVeg9CaxdYxX0XyNrW3SLsVaEZ-cY7as/s1220/Al_Khwarizmi_Sky.png" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1220" data-original-width="977" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhBgH8UkrMQhkpQcETkXv4z0KJ-rPg6jxHuo5LpuHfRViz0oZcdfSye_gedkwgqJDn2YSsX8vhTFVTotUUitPAz5TNZ1tzkHWsaC1B47bRDWIyqVeg9CaxdYxX0XyNrW3SLsVaEZ-cY7as/s320/Al_Khwarizmi_Sky.png" width="256" /></a></div> <span color="var(--primary-text)" style="font-family: inherit; font-size: 0.9375rem; white-space: pre-wrap;">Da <i>Strada bianca per i Monti del Cielo<br /></i><span style="font-family: inherit; font-size: 0.9375rem;"><br /></span></span><div><span color="var(--primary-text)" style="font-family: inherit; font-size: 0.9375rem; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: inherit; font-size: 0.9375rem;">« Sono a Khiva, Uzbekistan, e il Convitato di Pietra in caftano e turbante che sto cercando di fotografare è Muhammad ibn-Musa al-Khorizmi, colui che ha introdotto il termine al-jabr e di conseguenza è considerato il Padre dell'Algebra. Dal suo nome viene l'espressione algoritmo. </span></span></div><div><span style="font-family: inherit; font-size: 0.9375rem; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div><div><span style="font-family: inherit; font-size: 0.9375rem; white-space: pre-wrap;">Essendo nato a Khiva nel 780 dopo Cristo, è celebrato appena fuori della porta principale della città da quell'immane monumento, e io sono arrivato fin lì, ai margini del Deserto Rosso turchestano e poco lontano dallo scorrere dello storico Oxus (oggi Amu-Darya), proprio per rendere omaggio a lui. In un paio di miei romanzi di ambiente avventurosamente matematico ho addirittura chiamato al-Khorizmi un programma per computer che ne fa di tutti i colori. Con gli algoritmi, appunto.</span></div><div><span style="font-family: inherit; font-size: 0.9375rem; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div><div><span style="font-family: inherit; font-size: 0.9375rem; white-space: pre-wrap;">Mentre mi aggiro così pieno di reverenza alla ricerca di una luce che non ferisca la pellicola come fa con i miei occhi, improvvisamente il mirino della macchina fotografica inquadra un enorme cartellone giallo che spicca alto nel cielo di fronte alle mura. Una mappa stradale, a prima vista. Ma di dimensioni smisurate.</span></div><div><span style="font-family: inherit; font-size: 0.9375rem; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div><div><span style="font-family: inherit; font-size: 0.9375rem; white-space: pre-wrap;">Fotografato da tutte le parti al-Khorizmi con esiti che so già mediocri (come dai definizione al marmo nero sullo sfondo di un simile cielo?), mi avvio con il naso all'aria per andare a leggere la Mappa. E capisco finalmente perché sono in viaggio e come mai, dopo trentacinque anni di peregrinazioni, l'inconscio mi ha portato a Khiva.</span></div><div><div style="font-family: inherit;"><div dir="auto" style="font-family: inherit;"><div class="ecm0bbzt hv4rvrfc ihqw7lf3 dati1w0a" data-ad-comet-preview="message" data-ad-preview="message" id="jsc_c_jf" style="font-family: inherit; padding: 4px 16px 16px;"><div class="j83agx80 cbu4d94t ew0dbk1b irj2b8pg" style="display: flex; flex-direction: column; font-family: inherit; margin-bottom: -5px; margin-top: -5px;"><div class="qzhwtbm6 knvmm38d" style="font-family: inherit; margin-bottom: 5px; margin-top: 5px;"><span class="d2edcug0 hpfvmrgz qv66sw1b c1et5uql oi732d6d ik7dh3pa ht8s03o8 a8c37x1j keod5gw0 nxhoafnm aigsh9s9 d9wwppkn fe6kdd0r mau55g9w c8b282yb iv3no6db jq4qci2q a3bd9o3v b1v8xokw oo9gr5id hzawbc8m" color="var(--primary-text)" dir="auto" style="-webkit-font-smoothing: antialiased; display: block; font-family: inherit; font-size: 0.9375rem; line-height: 1.3333; max-width: 100%; min-width: 0px; overflow-wrap: break-word; word-break: break-word;"><div class="o9v6fnle cxmmr5t8 oygrvhab hcukyx3x c1et5uql ii04i59q" style="font-family: inherit; margin: 0.5em 0px 0px; overflow-wrap: break-word; white-space: pre-wrap;"><div dir="auto" style="font-family: inherit;">Il cartellone giallo è la mappa dell'antichissimo reticolo di strade detto Via della Seta… </div></div></span></div></div></div></div><div class="l9j0dhe7" id="jsc_c_jg" style="font-family: inherit; position: relative;"><div class="l9j0dhe7" style="font-family: inherit; position: relative;"><div style="font-family: inherit;"><div style="font-family: inherit;"><div class="l9j0dhe7" style="font-family: inherit; position: relative;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgrd7W5tqgsqG1b4Fr1P6KVjAylFgzJXdl2MV4XD28eNcLUXD_CVI00KKL0nELBpT-RrNEA4Ni6iMfRlpgUk2gyn2A8ao_X_DlJQl2zMydFqn1G_8rpIgmqZPwSUk4SGrRIV0YOUCRf4z0/s1377/ViaSeta2scan.JPG" style="font-family: inherit; 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max-width: 100%; min-width: 0px; padding: 6px 2px; position: relative; z-index: 0;"><div aria-label="Send this to friends or post it on your timeline." class="oajrlxb2 gs1a9yip g5ia77u1 mtkw9kbi tlpljxtp qensuy8j ppp5ayq2 goun2846 ccm00jje s44p3ltw mk2mc5f4 rt8b4zig n8ej3o3l agehan2d sk4xxmp2 rq0escxv nhd2j8a9 pq6dq46d mg4g778l btwxx1t3 pfnyh3mw p7hjln8o kvgmc6g5 cxmmr5t8 oygrvhab hcukyx3x tgvbjcpo hpfvmrgz jb3vyjys rz4wbd8a qt6c0cv9 a8nywdso l9j0dhe7 i1ao9s8h esuyzwwr f1sip0of du4w35lb lzcic4wl abiwlrkh p8dawk7l" role="button" style="align-items: stretch; border: 0px solid var(--always-dark-overlay); box-sizing: border-box; cursor: pointer; display: inline-flex; flex-basis: auto; flex-direction: row; flex-shrink: 0; font-family: inherit; list-style: none; margin: 0px; min-height: 0px; min-width: 0px; outline: none; padding: 0px; position: relative; text-align: inherit; touch-action: manipulation; z-index: 0;" tabindex="0"><div class="rq0escxv l9j0dhe7 du4w35lb j83agx80 g5gj957u rj1gh0hx buofh1pr hpfvmrgz taijpn5t bp9cbjyn owycx6da btwxx1t3 d1544ag0 tw6a2znq jb3vyjys dlv3wnog rl04r1d5 mysgfdmx hddg9phg qu8okrzs g0qnabr5" style="align-items: center; 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display: flex; flex-direction: column; flex-shrink: 0; font-family: inherit; max-width: 100%; min-width: 0px; padding: 6px 4px; position: relative; z-index: 0;"><span class="d2edcug0 hpfvmrgz qv66sw1b c1et5uql oi732d6d ik7dh3pa ht8s03o8 a8c37x1j keod5gw0 nxhoafnm aigsh9s9 d9wwppkn fe6kdd0r mau55g9w c8b282yb iv3no6db jq4qci2q a3bd9o3v lrazzd5p m9osqain" color="var(--secondary-text)" dir="auto" style="-webkit-font-smoothing: antialiased; display: block; font-family: inherit; font-size: 0.9375rem; font-weight: 600; line-height: 1.3333; max-width: 100%; min-width: 0px; overflow-wrap: break-word; word-break: break-word;">Share</span></div></div><div class="n00je7tq arfg74bv qs9ysxi8 k77z8yql i09qtzwb n7fi1qx3 b5wmifdl hzruof5a pmk7jnqg j9ispegn kr520xx4 c5ndavph art1omkt ot9fgl3s" data-visualcompletion="ignore" style="border-bottom-left-radius: 4px; border-bottom-right-radius: 4px; border-top-left-radius: 4px; border-top-right-radius: 4px; font-family: inherit; inset: 0px; opacity: 0; pointer-events: none; position: absolute; transition-duration: var(--fds-duration-extra-extra-short-out); transition-property: opacity; transition-timing-function: var(--fds-animation-fade-out);"></div></div></div></div></div></div></div><div class="cwj9ozl2 tvmbv18p" style="color: #1c1e21; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 12px; font-variant-ligatures: normal; margin-bottom: 4px; orphans: 2; text-decoration-thickness: initial; widows: 2;"><br class="Apple-interchange-newline" /></div></div></div></div></div>Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-12912268302063709732021-08-18T18:50:00.001+02:002021-08-18T18:50:34.459+02:00 Anni Settanta. Fotografando pitture rupestri nel Tassili algerino…<p><br /></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjk3yT-XRDHTuKBevpK3L6dYySVwJ2R5P86YELA-M6RXMBG-ybUpgVQ5t8uCyJltUE3dbkbwCaPHzlPdFZFq0BWXwI1SQDBSpoeLTh9lubLoLN4-YSlIJLxbUhS98qoL8hrCsvVI1n2hio/s675/biondi.tassili.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="340" data-original-width="675" height="201" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjk3yT-XRDHTuKBevpK3L6dYySVwJ2R5P86YELA-M6RXMBG-ybUpgVQ5t8uCyJltUE3dbkbwCaPHzlPdFZFq0BWXwI1SQDBSpoeLTh9lubLoLN4-YSlIJLxbUhS98qoL8hrCsvVI1n2hio/w399-h201/biondi.tassili.jpeg" width="399" /></a></div><br /><br />Da <i>Güle gule. Parti con un sorriso</i>:<p></p><p>« Raggiunta la base dell’altopiano delle pitture ho quasi un mancamento. Quella che dobbiamo affrontare non è una distesa di sabbia, sia pure in salita, ma un’immensa, interminabile pietraia scoscesa. Il targui l’affronta come una gazzella con i suoi piedoni nudi, ma le mie espadrillas scivolano come sul ghiaccio. E continuano a scivolare per le tre o quattro ore della salita. Ho i piedi in fiamme. A metà strada il thermos è già quasi vuoto.</p><p>Come Dio vuole raggiungiamo la vetta, e a quel punto ogni fatica e tormento svaniscono. Siamo circondati dalla storia plurimillenaria del deserto. Figure coloratissime o in semplice ocra, animali favolosi o fin troppo reali, ma che nel deserto non si vedono dalla notte dei tempi. E figure para-umane. Tra di esse i famosi “marziani”. Si può ridere finché si vuole, ma io mi riempio di brividi e da quel giorno non ho più dubbi che gli extraterrestri siano atterrati lì, chissà quando.</p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEibUniBk16-J10acPymfkNsakeApjzToe0uQF1st_30SNC7e5d-C7X6J5c4vb1LPjcFpIBMuN5pvl48QrErTP4juaoCsYc0HzsqJXzzRNqGW6JoHVV2B3z5G0hXMtXG1aCmX30CbpO7YQ4/s1024/Pitture_Tassili.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="411" data-original-width="1024" height="160" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEibUniBk16-J10acPymfkNsakeApjzToe0uQF1st_30SNC7e5d-C7X6J5c4vb1LPjcFpIBMuN5pvl48QrErTP4juaoCsYc0HzsqJXzzRNqGW6JoHVV2B3z5G0hXMtXG1aCmX30CbpO7YQ4/w401-h160/Pitture_Tassili.jpeg" width="401" /></a></div></div><p></p><p>Molte delle figure para-umane hanno una sfera attorno alla testa, e dalla sfera partono due tubi. Basta aver visto un solo film di fantascienza: sono alieni. La sabbia è cosparsa di macine millenarie, con i loro pestelli. Emozionato ed esausto, imito la guida e mi accascio all’ombra di una delle singolari tettoie di roccia bionda cosparse di figure e sonnecchio, mentre lui gioca con un ragazzino, emerso non si sa da dove, a una specie di dama con pietruzze su una scacchiera disegnata nella sabbia… »</p>Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-71833363887476438442021-08-17T12:50:00.000+02:002021-08-17T12:50:00.537+02:00Anni Settanta. Sahara algerino. Un'amica afghana. Ahimé, che fine avrà fatto?<p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEghMAzB7d6W9m5KZChoLNtvnDQ7gOZb-rQ0DiA7FJURk73ZWZdrpYioyD0uCGkVyDvq-i51wR0Tf4mK-TjffkKOkRik1FB43BUJ6grLx4shzMI7VP-xzSQ_M7tKyNa4MHHPXmETUlcvJ0Y/s591/Sahara.BN.144.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="591" data-original-width="495" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEghMAzB7d6W9m5KZChoLNtvnDQ7gOZb-rQ0DiA7FJURk73ZWZdrpYioyD0uCGkVyDvq-i51wR0Tf4mK-TjffkKOkRik1FB43BUJ6grLx4shzMI7VP-xzSQ_M7tKyNa4MHHPXmETUlcvJ0Y/s320/Sahara.BN.144.jpeg" width="268" /></a></div><br />Dal mio "<i>Güle güle. Parti con un sorriso:</i><p></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: 12px;">« Intanto però assisto a un altro miracolo dell'economiadi scambio sahariana. Siccome gli aerei non atterrano, la banca è rimasta senza liquidi. Ma a nessuno fa né caldo né freddo. In cambio delle nostre banconote europee il soffocante bugigattolo bancario emette tanti minuscoli foglietti di carta con scritto a mano quanto valgono. Il tutto garantito da un timbro. I negozianti li accettano senza battere ciglio, dandoci come resto altri foglietti timbrati di valore più piccolo oppure rilasciandoci note personali di credito, garantite dal loro nome. Le accettano tutti, anche il Bibendum, che continua allegrissimo a darci</span><i style="font-size: 12px;"> kuskus </i><span style="font-size: 12px;">condito con pacche sulla schiena. Le accetta anche il benzinaio. L'unico problema è riuscire a finirle tutte mentre si è lì, poiché si tratta evidentemente di una micro-economia monetaria autarchica a brevissimo raggio. Diventiamo tutti molto bravi a fare i conti al centesimo di dinaro. Ma riuscirò mai a ripartire?</span></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;">Non ne dubito, prima o poi un aereo passerà, atterrerà, mi caricherà e mi riporterà ad Algeri. Da lì all'Italia sarà uno scherzo. Alla Pro Loco mi hanno assicurato che i foglietti della banca saranno accettati anche in cambio di un biglietto dell'Air Algérie. Ma c'è un problema: se il sospirato Convair non atterra in un lasso di tempo ragionevole, mi rimarrà sufficiente valuta europea per recarmi alla banca e farmela convertire in un numero di foglietti sufficienti a comperare il biglietto? Sono francamente preoccupato.</p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;">Invece non ne ho motivo. I<i> djinn</i> delle pitture rupestri hanno molto approvato il mio comportamento e deciso di aiutarmi. Una sera, mentre seduto sotto una palma sto per l'ennesima volta facendo i conti del mio eseguissimo peculio, vedo entrare nel cortile delle <i>zeribas</i> una Land Rover lunga con targa francese. Provo un moto di sollievo e speranza, che però si converte subito in sgomento. Dalla camionetta smontano, uno dopo l'altro, cinque passeggeri. Un uomo, tre ragazzi e una ragazza, bellissima. Se non c'era posto sull'auto della reincarnazione di Lord Kitchener, che viaggia da sola, e non ce n'era neanche su quelle dei teneriani, che viaggiano a due a due, com'è possibile che mi carichi un'auto che ha già cinque passeggeri? Inoltre i cinque saranno diretti a Nord o a Sud, a Est, a Ovest?</p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;">La sera ci troviamo soltanto loro e io a cena dal gargottaro pneumatico e ambiguo. Attacchiamo subito discorso e tra noi nasce un'immensa simpatia. Sono un padre, due figli, un cugino. <b>La ragazza, oltre a essere la fidanzata del più grande dei figli, è addirittura parente del re dell'Afghanistan, ha vissuto parecchio tempo a Roma e parla perfettamente l'italiano, oltre che l'inglese, il francese, l'afgano e chissà quante altre lingue, compreso un arabo evidentemente perfetto, visto il modo deferente in cui Bibendum e servetti pendono dalle sue labbra.</b></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;">L'esperienza mi ha ammaestrato. Non dico che sto cercando un passaggio, ma che sto aspettando l'aereo da un secolo e sono un po' stufo. Aereo? mi chiede il padre con l'aria di un discendente del Re Sole. Venire fino a qui per poi andarsene in aereo? Non è meglio in auto?</p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;">Non ho dubbi che sia meglio, più avventuroso, interessante, emozionante eccetera eccetera, ma l'auto non ce l'ho, quindi bisogna che qualcuno mi porti. E, a quanto pare, qualche camion fa la spola fra qui e Tamanrasset, ma non affrontano la pista del Nord. Come faccio? Sono costretto, violentato, forzato a prendere l'aereo.</p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;">Vieni con noi, dice semplicemente il francese. Domani partiamo per il Nord.</p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;">Signori Mahaim, ho invaso la vostra Land Rover e bevuto la vostra acqua. Poi ho afflitto anche le vostre case di Parigi e in Bretagna, ospitandovi in cambio nella mia temporanea dimora di Firenze. Qualche anno più tardi ci siamo inopinatamente incontrati di nuovo alla Fiera del Libro di Francoforte, ma poi ho perso le vostre tracce, non vi trovo nemmeno in Internet. Chissà mai che questi miei lontani ricordi non possano servire a ritrovarvi. La gratitudine che ho per voi è eterna, vorrei esprimervela ancora una volta di persona. Amen.</p>Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-67619051104798035272021-08-17T12:39:00.003+02:002021-08-17T12:39:23.628+02:00Ferragosto a Wadi Ram (Giordania), 1979<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhAAThpVK1RUQ0Z98GhO74G_48iVBXpGYrddNCY_E70SGPGXvoMzlNcUclT0ThgcR90vDFggWW43z96eJplkOE7PPUxGFeSQH5OC6mVZ4a_4q1UdDhb-Jzf5qSPB8_DbFOZNMsGhfwIy4s/s2048/Ferragosto_WadiRum.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1148" data-original-width="2048" height="223" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhAAThpVK1RUQ0Z98GhO74G_48iVBXpGYrddNCY_E70SGPGXvoMzlNcUclT0ThgcR90vDFggWW43z96eJplkOE7PPUxGFeSQH5OC6mVZ4a_4q1UdDhb-Jzf5qSPB8_DbFOZNMsGhfwIy4s/w399-h223/Ferragosto_WadiRum.jpg" width="399" /></a></div><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px;">Dal mio <i>Güle güle. Parti con un sorriso</i>:</span><p></p><p><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px;">Parto con un arabo dalla barbetta rada e il dente largo. Raggiunto il centro del vallone, la </span><i style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px;">taioda</i><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px;"> si ferma sotto il sole, io scendo, fotografo la sabbia, almeno quella, l'arabo impassibile guarda. Ripartiamo?</span><i style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px;"> For</i><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px;">, è la risposta. Per andare avanti ci vogliono quattro dinari. Ma non avevamo detto</span><i style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px;"> tu</i><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px;">? Due, fino a qui. Per andare più avanti, quattro. Estenuante trattativa a base di</span><i style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px;"> for</i><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px;">,</span><i style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px;"> tu</i><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px;">,</span><i style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px;"> for</i><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px;">, </span><i style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px;">tri</i><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px;">, e sanguinolento accordo su tre, con l'arabo infuriato che invoca Allah.</span></p>
<p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;">La Toyota derapa furibonda nella sabbia, io estraggo una sigaretta, l'arabo dice di no, quindi la metto via e allora subito lui dice, conciliante: ma sì, va', fuma, peccatore. E accende un orribile ululato di musica nel mangianastri. Ma io sono più testardo di lui e non fumo: Ramadan è e Ramadan sia. L'arabo è compiaciuto, l'altoparlante urla come un coyote molto malato. E via che ci si infila nel canale-sorgente, si toccano le incisioni lasciate nella rupe da millenni di gente andata e venuta. Adesso il bedù è allegrissimo, fa grandi segni verso la sabbia e dice:<i> Orèns filìm</i>, <i>Orèns filìm</i>.</p>
<p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;">Sì, qui attorno hanno girato il film di Lawrence d'Arabia, e il bedù ha visto tutto con i suoi occhi, se li indica. Ci sono ancora le rotaie del treno, appena fuori dell'imbocco della valle. Adesso però vuole i suoi <i>tre gidì</i>, glieli do, è soddisfatto. Indica che il mio comportamento è stato impeccabile, se rimango fino al tramonto mi offre un tè... No, grazie, devo andare ad Aqaba. Arrivederci, arrivederci,<i> insciallà</i>.</p>Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-70401617219800142222021-08-06T12:39:00.009+02:002021-08-06T17:25:43.969+02:00Le Meduse della Cisterna a Istanbul<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh3c9WEi-bzBVNX2vzGgukB0c8dF5W-QDSkhJCWtGjIPipStWRwr3Lv8PIcxhidGL18EnTq_2XKRXm92lmyNZNi5ww1ALl7lnNZ_YJi76AZKJAqVeYaDasheXQ8Yt15cpsg_rkj5SsXwRA/s960/37282154_10214814396185321_5274651715629481984_n.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="924" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh3c9WEi-bzBVNX2vzGgukB0c8dF5W-QDSkhJCWtGjIPipStWRwr3Lv8PIcxhidGL18EnTq_2XKRXm92lmyNZNi5ww1ALl7lnNZ_YJi76AZKJAqVeYaDasheXQ8Yt15cpsg_rkj5SsXwRA/s320/37282154_10214814396185321_5274651715629481984_n.jpg" width="308" /></a></div><div><br /></div>Le due <b>meduse </b>nella <b>Cisterna</b>,<b> </b>Acquedotto di Giustiniano a Istanbul. Una sottosopra, l'altra di traverso fanno da base a due delle tantissime (+ di 300) colonne. Quella di sopra non l’avevo mai vista prima, soltanto l’altra, fotografata già nel 1993. Questo luogo magico lo avevo visitato soltanto allora, aperto da poco al pubblico. Sono bellissime<div><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjDuRj6RWppriilAT5RAFRTD8B5o4A3yKilblqBD2ynJqJWKjWIpQUqgpMb9UP3LJkWqr4ZHbnCIahnDQs_YXFuLgeHe0U2V89-pU1bY2d2CllGak-16HOuZVpOhw_QG6a-ziyFB0qCpsQ/s1280/Cisterna.jpeg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="784" data-original-width="1280" height="188" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjDuRj6RWppriilAT5RAFRTD8B5o4A3yKilblqBD2ynJqJWKjWIpQUqgpMb9UP3LJkWqr4ZHbnCIahnDQs_YXFuLgeHe0U2V89-pU1bY2d2CllGak-16HOuZVpOhw_QG6a-ziyFB0qCpsQ/w307-h188/Cisterna.jpeg" width="307" /></a></div><div><br /></div><div><p></p></div><div><br /></div>Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-25180879935267478752021-08-06T12:14:00.007+02:002021-08-06T17:27:47.846+02:00Elefanti e pazienza<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhF4GC8oHIc1XMrxxJAXwwwiiykjO8ubAHg-hbCinHUA_eNmEQwokJDEeCz964q1nY3u49hpmSNfZEKcnDHy5SSYqN3pZf6ntXf8LccwM8i96yaQWO6xafeBT0_vEoHemjw2HHNglf3rNg/s2048/279446_2084771890742_3927660_o.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1362" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhF4GC8oHIc1XMrxxJAXwwwiiykjO8ubAHg-hbCinHUA_eNmEQwokJDEeCz964q1nY3u49hpmSNfZEKcnDHy5SSYqN3pZf6ntXf8LccwM8i96yaQWO6xafeBT0_vEoHemjw2HHNglf3rNg/s320/279446_2084771890742_3927660_o.jpg" width="213" /></a></div>Gli<b> elefanti </b>hanno la fama di essere animali <b>pazienti.</b> Guarda per esempio questa santa (<b>addomesticata</b>), che mi ha portato in giro per la giungla nepalese (Chitwan). <br /><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiu-NqrtBeB1jm5a3sZaJJlT50pY4BxSeM7sH28CXNWSYJM50gSq-pegEci2YNk02a3tERQEMWZmq4bswbpS8wvbcDj9F0hyAOPWyOLKHszG1xIcMetdgQiPnrv2wmnUPTcKtPmnj3r5as/s1280/Elefante_Dhaka.jpeg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="1280" data-original-width="880" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiu-NqrtBeB1jm5a3sZaJJlT50pY4BxSeM7sH28CXNWSYJM50gSq-pegEci2YNk02a3tERQEMWZmq4bswbpS8wvbcDj9F0hyAOPWyOLKHszG1xIcMetdgQiPnrv2wmnUPTcKtPmnj3r5as/s320/Elefante_Dhaka.jpeg" width="220" /></a></div></div>O quest'altra (anche lei <b>addomesticata</b>), che bloccava pacificamente il traffico nelle stradine di Dacca (Bangladesh).<br /><br /><p></p><p><br /></p><p><br /></p><p><br /></p><p><br /></p><p><br /></p><p><br /></p><p><br /></p><p><br /></p><p><br /></p><p><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGhxRmwl1asIof5KBRsJHcyKu0TDDp84aSAgCflgSOTE2cADTToQI3uRV9hIslz3EaE3suIicraCwYPiYcVPPk7kfAFEc4c0b7wXV1kkyKpvj4CHdF59RHMbp5wEl947XgT7lTtqK59b0/s1280/Elefanti_Terai.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="872" data-original-width="1280" height="256" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGhxRmwl1asIof5KBRsJHcyKu0TDDp84aSAgCflgSOTE2cADTToQI3uRV9hIslz3EaE3suIicraCwYPiYcVPPk7kfAFEc4c0b7wXV1kkyKpvj4CHdF59RHMbp5wEl947XgT7lTtqK59b0/w376-h256/Elefanti_Terai.jpeg" width="376" /></a>E a modo loro erano pazienti anche questi due, però <b>selvatici</b>, nel Terai Occidentale, Nepal. Nel senso che se ne stavano rintanati tutto il giorno nell'ombra fitta della giungla e verso sera ne uscivano per sfasciare i depositi, rubare il riso e terrorizzare il villaggio di gentilissimi e bellissimi Tharu dove mi trovavo nella pia illusione di avvistare la tigre (maggio 2016). Tutto il villaggio passava la notte a pestare su tamburi, lastre di ondulato e padelle nell'inutile speranza di spaventarli. Brutta roba. Un po' di paura, anche…</p>Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-41575314528425839582021-08-06T11:56:00.003+02:002021-08-06T11:56:19.505+02:00Tibet Occidentale<p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgfQEuCuGl57e1S09axTwszYEvsMGWTbKQTUdbXWuxJTAIeuYviwMgBq3PrfBT2jP1In8wXBWCa4ID7wP5zkr65iyKjiUCJXmcyotyQn5aMMmCBb3-QVoquFfS2Em2NYrVlWnXjjN-rGwI/s1280/Himalaya_Manasarovar.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="689" data-original-width="1280" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgfQEuCuGl57e1S09axTwszYEvsMGWTbKQTUdbXWuxJTAIeuYviwMgBq3PrfBT2jP1In8wXBWCa4ID7wP5zkr65iyKjiUCJXmcyotyQn5aMMmCBb3-QVoquFfS2Em2NYrVlWnXjjN-rGwI/w446-h240/Himalaya_Manasarovar.png" width="446" /></a></b></div><b>Himalaya nepalese</b> visto dal Tibet occidentale, poco a est del Kailash (28 giugno 2010, altopiano a 5000 mt circa). Forse lo spettacolo più bello che ho visto in vita mia<p></p>Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-53286237514098257852021-08-06T11:51:00.003+02:002021-08-06T11:51:29.256+02:00Hazara in Iran (2003)<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEja5Z9ER9A4hLxp07jZYRv3kyKUsVH9fnp1Z5t7pShejvxC_y9y3PSlbJ_alSivgTXli85V33cs6rUk9NP-p2Uul0t4wS7BNTfaFjm1dxGE2zawWBAAWudeIqiRFCP82JoBnRHwrJM75c8/s1361/13692850_10208740971553501_2532974436682855289_o.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1361" data-original-width="864" height="367" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEja5Z9ER9A4hLxp07jZYRv3kyKUsVH9fnp1Z5t7pShejvxC_y9y3PSlbJ_alSivgTXli85V33cs6rUk9NP-p2Uul0t4wS7BNTfaFjm1dxGE2zawWBAAWudeIqiRFCP82JoBnRHwrJM75c8/w233-h367/13692850_10208740971553501_2532974436682855289_o.jpg" width="233" /></a></div><b>Un himam hazara</b> guida la sua piccola comunità di profughi in visita a Isfahan (primavera 2003). I "cattivi" iraniani sciiti ne avevano accolto (e mantenevano) 2 milioni in fuga dalle bestie talebane sunnite di Kabul. Poveri hazara, così belli e gentili. Afghani mongoli di lingua persiana e religione sciita: un groviglio di anacronismi<p></p>Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-48157336814016489892021-08-06T11:43:00.004+02:002021-08-17T12:00:36.871+02:00Bellezza di Hotan, Xinjiang, Cina<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg2wgkS-w7gHbZKAPu8NOfJfV39hoOINqkplx-6MX-J3DpgLlGlZtF2yE8L_4BRgNXvi3PW7730JaFtnC9FZwu5q_tv-w146XYB0oQX53IXlV8SJ1fQ-57zRVTrHSe1oXDO2mFypZ8DIgQ/s525/Hotan_Rovine_Carretta.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="525" data-original-width="340" height="351" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg2wgkS-w7gHbZKAPu8NOfJfV39hoOINqkplx-6MX-J3DpgLlGlZtF2yE8L_4BRgNXvi3PW7730JaFtnC9FZwu5q_tv-w146XYB0oQX53IXlV8SJ1fQ-57zRVTrHSe1oXDO2mFypZ8DIgQ/w227-h351/Hotan_Rovine_Carretta.jpg" width="227" /></a></div>(Settembre 2004) «Bellezze hotanesi dai morbidi capelli, uguali alla chioma degli idoli...» Dal mio <i>Il Cielo della Mezzaluna</i>, citando il turco Tursun Bey, storico della caduta di Costantinopoli. Magari non proprio simile a un idolo, ma carina e gentile la ragazza uigura mi ha portato con la sua carrettella in giro per i margini meridionali del deserto Taklamakan a cercare le scarse rovine della Hotan (Khotan) antica. Da dove 1500 anni fa è sfuggito ai cinesi verso la Costantinopoli di Giustiniano il preziosissimo segreto di fabbricazione della seta. Pare siano stati 2 monaci nestoriani, nascondendosi le uova dei bachi sotto il barbone perché non morissero di freddo. Pensa il prurito! Per fabbricare foulard e cravatte a Como e Lione… Che vita… 😉<p></p><div>**************************</div><div><br /></div><div>Dal mio <i>Strada bianca per i Monti del Cielo</i>:</div><div><br /></div><div>« <span style="font-family: TimesNewRomanPSMT; font-size: 16pt;">Lungo il ramo meridionale [del deserto Taklamakan], che è stato importantissimo per l’avanzata del Buddha di Alessandro Magno, è rimasto purtroppo molto poco di visitabile per il comune viaggiatore. I siti sono stati abbandonati alla sabbia, al diffondersi dell’Islam e alle rapine dei cacciatori di tombe, oltre che all’approfondito interesse di Aurel Stein, che ne scrive diffusamente.</span><span style="font-family: TimesNewRomanPSMT; font-size: 11pt; vertical-align: 4pt;">18 </span><span style="font-family: TimesNewRomanPSMT; font-size: 16pt;">I resti nella zona di Niya (Minfeng) non sono visitabili, a Hotan </span><span style="background-color: white; font-family: TimesNewRomanPSMT; font-size: 16pt;">(Khotan) posso raggiungere soltanto i miseri rimasugli di Melikawat, in mezzo al deserto. Ci arrivo trasportato su una carrettella con ronzino guidata da una bella ragazzona uigura che mi ossessiona per tutto il percorso di andata e ritorno con profferte non già amorose (poverina, si meritava ben altro) ma di scadentissima chincaglieria. Comunque, a Melikawat non c’è praticamente niente da vedere. »</span></div><div><span style="font-family: TimesNewRomanPSMT; font-size: 9pt; vertical-align: 4pt;"><br /></span></div><div><span style="font-family: TimesNewRomanPSMT; font-size: 9pt; vertical-align: 4pt;">18 </span><span style="font-family: TimesNewRomanPS; font-size: 14pt; font-style: italic;">Sand-buried ruins of Khotan</span><span style="font-family: TimesNewRomanPSMT; font-size: 14pt;">, Hurst and Blackett, London, 1904.</span></div>Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-35335834052803386722021-08-06T11:39:00.001+02:002021-08-06T11:39:48.789+02:00Quadri di Klee nel Qinghai (Cina)<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj0qSlhKZSOnQBaAC88We0A1xQgEk0Kt8mZ9eiR1n5bzUZGUWxFoFalSX7NwfSpMQLFjBxosrqnS4OGaq3Ev0N6ElyL-NhNeeBKcZUVjzOGMVZmI7voDwVRCHsG1tea4J77wwZBoy4vY60/s1504/Qinghai_2006.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="894" data-original-width="1504" height="190" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj0qSlhKZSOnQBaAC88We0A1xQgEk0Kt8mZ9eiR1n5bzUZGUWxFoFalSX7NwfSpMQLFjBxosrqnS4OGaq3Ev0N6ElyL-NhNeeBKcZUVjzOGMVZmI7voDwVRCHsG1tea4J77wwZBoy4vY60/s320/Qinghai_2006.jpg" width="320" /></a></div>« Tutto attorno chilometri e chilometri di giallissimi campi di colza, coltivata in forma estensiva onde estrarre dalle radici olio per usi energetici: come commestibile è dannoso. Formano un magnifico patchwork cromatico con altri campi verdissimi, di orzo, componente fondamentale dell’alimentazione tibetana. L'insieme crea meravigliosi quadri di Klee per il sublime piacere gratuito dell’occhio… » (Qinghai, luglio 2006. Da <i>Con il Buddha di Alessandro Magno</i>)<p></p><div><br /></div>Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-76153031842328665152021-08-06T11:33:00.002+02:002021-08-06T11:35:49.935+02:00Lago del Cielo (Nam Tso), Tibet Centrale<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbGeAWzrCCV8e6xdLP4bLalghksoVIOL6bL7oVBJ4fNsG9b5pPAOZYjtU80dNlKVKw6Uo9Rg1z4AdPniqi4TZDNb2PquSJ0QtE9EQxV-huKUjqBoxXd-0COjSQ3hXwI0crz-MO8bqqpHE/s1200/Namtso_Lakenla.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="953" data-original-width="1200" height="254" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbGeAWzrCCV8e6xdLP4bLalghksoVIOL6bL7oVBJ4fNsG9b5pPAOZYjtU80dNlKVKw6Uo9Rg1z4AdPniqi4TZDNb2PquSJ0QtE9EQxV-huKUjqBoxXd-0COjSQ3hXwI0crz-MO8bqqpHE/s320/Namtso_Lakenla.jpg" width="320" /></a></div><br /><b>Lago del Cielo</b> (Nam Tso, Tengri Nur). Tibet Centrale, 4718 mt. Visto dal Passo Laken (Laken La), 5190 mt. (2013).<p></p><p>Quella notte ho fatto davvero fatica a dormire. Pareva che il cuore volesse scoppiare. Mi era già successo nelle notti trascorse anni prima a Maduo-Madoi, Qinghai, stessa altitudine circa, base di partenza per visitare la "sorgente" del Fiume Giallo. Che è poi anch'essa un lago, ma non endoreico (chiuso), quindi non salato. Gran bel posto anche quello</p>Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-2401905748625407742020-08-20T13:01:00.003+02:002020-08-21T15:41:28.726+02:00Elena Spagnol: La cucina come un romanzo (un malinconico ricordo)<div class="separator"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj8c7Wr4xtUV1wJIfL-8V0KOllk09-npoVZRaidUNxiX4PBFJ3__1IHrmjVj91ajlLN0n2bQ3XRuYyD0NHuoNmJBca4SRvGMjqFF_OmxD7T7J6_242IbQO7mD8BsorxfDeodEQ_jSx_aWA/s305/9788884512093_0_221_0_75.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="305" data-original-width="221" height="245" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj8c7Wr4xtUV1wJIfL-8V0KOllk09-npoVZRaidUNxiX4PBFJ3__1IHrmjVj91ajlLN0n2bQ3XRuYyD0NHuoNmJBca4SRvGMjqFF_OmxD7T7J6_242IbQO7mD8BsorxfDeodEQ_jSx_aWA/w179-h245/9788884512093_0_221_0_75.jpg" width="179" /></a></div><b>Elena S<span>pagnol (193* - 2020)</span></b><span>, due grandi p</span><span>assioni nella vita: il romanzo e la cucina. La seconda passione l’ha portata in una trentina di anni a pubblicare 22 libri di cucina che hanno venduto complessivamente oltre un milione di copie, traguardo davvero invidiabile. È stata definita la “creatrice della cucina veloce”. “La prima a dare ricette in minuti, la prima a insegnare la pentola a pressione”, ha scritto di lei il “Corriere della sera”. In questi giorni al suo lavoro si aggiunge una nuova perla dal titolo addirittura icastico: </span><i>In cucina</i><span>. E il sottotitolo aggiunge </span><i>Come mangiare d’ora in poi</i><span>. Oltre 1.000 pagine con davvero </span><i>tutto</i><span> per la cucina. Non soltanto ricette per tutti i gusti, ma gli strumenti, gli attrezzi, i recipienti, la congelazione, la spesa, le scorte, gli ospiti, i menu. Di questo suo libro (e di altro) abbiamo parlato con lei.</span><p></p></div>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><i>Abbiamo detto di due sue grandi passioni. È così? E quale delle due è venuta prima?</i></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;">Due, sì, essendo miseramente fallita quella per la musica. Per quanti sforzi abbia fatto, non sono mai riuscita a imparare a suonare il pianoforte o a cantare. Non sono mai neanche riuscita a imparare a scrivere a macchina, per altro. Ed è senz’altro nata prima la passione per la lettura. Ho cominciato a sette, otto anni, e questa mia passione la mamma l’ha usata per convincermi a studiare. “Se pigli un bel voto”, mi diceva, “ti regalo un bel libro.” La cucina venuta molto dopo, con la famiglia </p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 19px;"><br /></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><i>Parliamo dunque prima di “romanzo”. Al di fuori dell’ambiente editoriale non molti sanno che la sua passione per la lettura è poi diventata una professione. Né si sa di certi suoi suggerimenti azzeccatissimi, decisivi per la pubblicazione o meno di libri destinati a diventare straordinari best seller. Quali ricorda di più?</i></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 19px;"><br /></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;">Soprattutto uno. Alla fine degli anni Settanta ero a Londra con mio figlio Luigi, e mio marito Mario mi aveva raccomandato di andare nelle librerie a chiedere quali fossero i libri che in quel momento si vendevano di più. Mi è stato mostrato <i>Hungry as the sea</i>, quello che in Italia è poi diventato <i>Come il mare</i> di Wilbur Smith.</p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 19px;"><br /></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><i>Vista adesso potrebbe sembrare una scelta facile, obbligata, ma allora…</i> </p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 19px;"><br /></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;">Infatti. A quei tempi Wilbur Smith era già stato pubblicato in Italia con scarsissimo successo da due editori, che lo avevano mollato. Ma mi piace anche ricordare di aver sostenuto con calore la pubblicazione di Richard Bach. I suoi erano libri strani, difficilmente collocabili, davanti a cui gli editori esitavano. E poi ce ne sono stati tanti altri. <i>Radici</i>, per esempio. </p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 19px;"><br /></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><i>Mai venuta la voglia di scrivere narrativa?</i></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 19px;"><br /></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;">Altroché se mi è venuta, ma non l’ho mai messa in pratica. Non fa per me, non so scrivere una storia.</p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 19px;"><br /></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><i>Però tutti dicono che le sue ricette sono scritte molto bene, con piglio da scrittore.</i></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 19px;"><br /></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;">Hanno anche sottolineato la mia capacità di sintesi. Per forza, ho risposto: all’università il mio esame di latino stato su Tacito. È lì che ho imparato. </p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 19px;"><br /></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;">Passiamo alla cucina e facciamo un giochetto: paragoniamola al romanzo. Chi è, in cucina, il “buono”, il personaggio che quando c’è siamo sicuri del successo. E chi il “cattivo”?</p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 19px;"><br /></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;">Uhm, il “buono” è difficile da dire. Ce ne sono tanti. Quanto al “cattivo”, può esserlo davvero soltanto il cuoco, anche se c’è un ingrediente che ha una fama pessima: la panna. Ma è un’ingiustizia totale. Significa soltanto non saperla usare. È una questione di misura.</p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 19px;"><br /></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><i>Anche nel romanzo si scopre spesso che il presunto “cattivo" in realtà è buono. Ma il “buono” “buono-buono"? Ci deve pur essere.</i></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 19px;"><br /></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;">In Italia è senz’altro la pasta. Sì, la pasta, in una qualsiasi delle sue mille forme.</p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 19px;"><br /></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><i>E la grande storia d’amore della pasta con chi è? Con chi la facciamo sposare perché siano tutti contenti, la famiglia, gli invitati, gli officianti, il pubblico?</i></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 19px;"><br /></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;">Con il ragù. La pasta è buona sempre, ma con il ragù il successo è assicurato. Ed ecco un caso lampante in cui la presunta “cattiva” panna, usata con misura, è invece buonissima.</p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 19px;"><br /></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><i>Arriva il Natale con i suoi cenoni o pranzi. Vogliamo suggerire un menu preso dalle ricette di </i>In cucina<i>?</i></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 19px;"><br /></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;">A prescindere da antipasti e verdure, ad libitum, i cappelletti sono d’obbligo, in brodo, magari cotti in un magnifico brodo di cappone (anche ripieno). Oppure asciutti, con appunto la panna.</p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 19px;"><br /></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><i>Il secondo?</i></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 19px;"><br /></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;">Possibilmente misto. Il cappone semplice o ripieno con cui si è fatto il brodo, e un carré di vitello con osso come quello della ricetta del mio libro.</p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 19px;"><br /></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><i>Che noi riportiamo qui sotto. E il dolce?</i></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 19px;"><br /></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;">Il panettone è anch’esso quasi d’obbligo, magari con il mascarpone. Altrimenti (o in aggiunta) un magnifico Monte Bianco.</p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 19px;"><br /></p>
<p style="font-family: times; font-size: 16px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><i>[Il pezzo proseguiva con due squisite ricette tratte dal libro — </i>Il carré di vitello con osso<i> e </i>Il Monte bianco —<i>, ma temo di non poterle riprodurre in quanto protette da copyright.]</i></p>Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-42711606819128721512020-02-07T12:38:00.003+01:002020-02-07T12:51:02.143+01:00A proposito di fake news sui cinesi…<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
Leggere le accorate lamentazioni di questi giorni sui danni provocati in prospettiva dal ridursi del numero dei turisti CINESI che verranno in Italia mi riempie di inquieti (divertiti, sdegnati?) ricordi.<br />
<br />
Autunno 2010, appena tornato dal mio secondo viaggio in Tibet (ottavo in Cina) con discesa in Nepal, a un pranzo in una bellissima villa su un laghetto varesotto, racconto della straordinaria (ripeto "straordinaria") Strada dell'Amicizia che in un lampo porta da 5000 metri a 1300. Chi me l'ha fatto fare!<br />
<br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg6QeB57n5JGE7JQmDtzh7R7UosJStkmoYcj7bCOcY6X3s8IfZYHuAXJJU0BvYmH6mqYJrrIB-85un7kwt6PkpK9kbQFSUNqxCu_sNTl-6GWOkabRX-FRCYNIJhViAVsMd8u9KdepBxJIM/s1600/Strada_dell_Amicizia.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="399" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg6QeB57n5JGE7JQmDtzh7R7UosJStkmoYcj7bCOcY6X3s8IfZYHuAXJJU0BvYmH6mqYJrrIB-85un7kwt6PkpK9kbQFSUNqxCu_sNTl-6GWOkabRX-FRCYNIJhViAVsMd8u9KdepBxJIM/s640/Strada_dell_Amicizia.jpg" width="427" /></a>1) Un'assatanata ospite dei padroni di casa, mai vista prima e mai per fortuna rivista, si mette a urlare che sto mentendo, che quella strada è un tratturo, tenuto in condizioni vergognose dai sopraffattori cinesi per bloccare il Tibet. Ho un bel cercare di spiegarle che è vero: da Kathmandu al confine, in territorio nepalese, è un tratturo, perché evidentemente i poverissimi nepalesi hanno altre comprensibili priorità, ma dal confine di Kodari/Nyalam in su, fino a Lhasa e volendo a Pechino e Shanghai, è un biliardo, oltre che un molteplice miracolo di ingegneria. Niente da fare, sono il solito comunista accecato dall'ideologia e uno squallido mentitore al soldo della bieca Internazionale che mente sapendo di mentire. Tutti i commensali (tra di essi giornalisti e un ex proprietario di giornale) annuiscono convinti e mi guardano con espressioni di sdegnato rimprovero. Mai visto quella strada neanche al cinema, loro, ma amen.<br />
<br />
2) Mi scappa di dire (di nuovo: chi me l'ha fatto fare!) che i cinesi che si possono permettere di viaggiare all'estero sono ormai valutati in 250 milioni (nel 2010), quindi da tenere d'occhio come potenziale per il nostro turismo.<br />
<br />
Di nuovo, non lo avessi mai fatto. Vengo coperto di rinnovate, furibonde contumelie: sono accecato dall'ideologia, un falsario maoista (mai stato) eccetera. Ho capito che in quella casa di ex amici non sarò mai più invitato. Ci rimetto qualcosa? Io francamente no.<br />
<br />
Chissà se adesso tutta quella strana gente, avida di fake news, si lamenta:<br />
<br />
1)<b> dell'esistenza appunto delle fake news</b><br />
<br />
2) <b>della presumibile diminuzione dell'afflusso di turisti cinesi in Italia, che magari affliggerà i LORO affari</b><br />
<br />
Chi è il falsario?</div>
Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-69124099787253961802020-01-26T11:53:00.000+01:002020-01-26T11:53:08.158+01:00Le auto del Sahara<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<br />
<div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgtED2D-of4BwrBsG4Sg53rMVM2WmprduTV3wRKqeag7_h5ZHZIUCF0GL18L5Rolad8-x5Xw4nvsxLQ7YuqPAhgTe-rwv_JosOmCuQgl6lXqJatfiBQNK6GOdAGvufdtkOXO8AuF1J7J_s/s1600/Assekrem.png" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="469" data-original-width="953" height="196" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgtED2D-of4BwrBsG4Sg53rMVM2WmprduTV3wRKqeag7_h5ZHZIUCF0GL18L5Rolad8-x5Xw4nvsxLQ7YuqPAhgTe-rwv_JosOmCuQgl6lXqJatfiBQNK6GOdAGvufdtkOXO8AuF1J7J_s/s400/Assekrem.png" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Assekrem</td></tr>
</tbody></table>
<span style="font-size: large;"><span class="_4yxp" style="background-color: white; color: #1c1e21; font-family: "georgia" , serif; font-style: italic; white-space: pre-wrap;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span class="_4yxp" style="background-color: white; color: #1c1e21; font-family: "georgia" , serif; font-style: italic; white-space: pre-wrap;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span class="_4yxp" style="background-color: white; color: #1c1e21; font-family: "georgia" , serif; font-style: italic; white-space: pre-wrap;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span class="_4yxp" style="background-color: white; color: #1c1e21; font-family: "georgia" , serif; font-style: italic; white-space: pre-wrap;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span class="_4yxp" style="background-color: white; color: #1c1e21; font-family: "georgia" , serif; font-style: italic; white-space: pre-wrap;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span class="_4yxp" style="background-color: white; color: #1c1e21; font-family: "georgia" , serif; font-style: italic; white-space: pre-wrap;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span class="_4yxp" style="background-color: white; color: #1c1e21; font-family: "georgia" , serif; font-style: italic; white-space: pre-wrap;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span class="_4yxp" style="background-color: white; color: #1c1e21; font-family: "georgia" , serif; font-style: italic; white-space: pre-wrap;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span class="_4yxp" style="background-color: white; color: #1c1e21; font-family: "georgia" , serif; font-style: italic; white-space: pre-wrap;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span class="_4yxp" style="background-color: white; color: #1c1e21; font-family: "georgia" , serif; font-style: italic; white-space: pre-wrap;">Leggo un articolo sulle auto più strane che hanno partecipato alla Parigi - Dakar e mi viene in mente la scena che ho raccontato nel mio </span><span class="_4yxo _4yxp" style="background-color: white; color: #1c1e21; font-family: "georgia" , serif; font-style: italic; font-weight: 600; white-space: pre-wrap;">Güle güle. Parti con un sorriso</span><span class="_4yxp" style="background-color: white; color: #1c1e21; font-family: "georgia" , serif; font-style: italic; white-space: pre-wrap;">. Assekrem, montagne nel cuore del Sahara algerino, primi Anni Settanta del Novecento…</span></span></div>
<div>
<br /></div>
<div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi3FW0tWAnCR4Axq3TMfg0hBvGuZzmsYe_0uiYDBC10_QJEzrmHI7bomm2qz3HGDiZ1m6Gq6mWuV-UbSpVd87NfNzJtF93xtL0tWsDlYjp1ne40VEPIjOHytsEaQDGW4uzC5fTm-xDGn8I/s1600/carcassa.auto.png" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="442" data-original-width="984" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi3FW0tWAnCR4Axq3TMfg0hBvGuZzmsYe_0uiYDBC10_QJEzrmHI7bomm2qz3HGDiZ1m6Gq6mWuV-UbSpVd87NfNzJtF93xtL0tWsDlYjp1ne40VEPIjOHytsEaQDGW4uzC5fTm-xDGn8I/s400/carcassa.auto.png" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Incontro nella sabbia</td></tr>
</tbody></table>
<span style="font-family: inherit; font-size: large;">«Dopo essere rimasto qualche istante seduto a contemplare il farsi sempre più luminoso di milioni di stelle nella cupola buia del cielo, decido di allontanarmi di quattro passi tra le rocce, non senza essermi messo le calze e aver infilato i pantaloni lunghi dentro le finte desert boot, a labile difesa contro malintenzionati denti di serpe o aculei di scorpione ("<i>C'est l'Afrique...</i>"). Mi inerpico di qualche metro per guardare oltre un dosso. Non ho la più vaga idea di dove io mi trovi, né di dove siano i quattro punti cardinali.</span></div>
<div>
<span style="font-family: inherit; font-size: large;">Finito di inerpicarmi, guardo. Guardando, vedo. In una valletta a colori rossastri e verdi, illuminata dai lampi e dai bagliori di un inferno artificiale wagneriano, si sta svolgendo una scena da Oro del Reno, un lavoro da Nibelunghi. Lampi e bagliori provengono da fiamme ossidriche in furiosa funzione. I Nibelunghi non sono però tedeschi ma francesi. Hanno disposto un numero imprecisato di 2CV a formare un cerchio come un accampamento di coloni del West, e al centro del medesimo lavorano come ossessi, cicalando, gridandosi ordini e consigli, qualche sonora bestemmia. Sono troppo lontani perché io possa capire con esattezza.</span></div>
<div>
<span style="font-family: inherit; font-size: large;">Mi sento una mano su una spalla. È il ragazzino Beluba, con il sorriso dei suoi denti radi.</span></div>
<div>
<span style="font-family: inherit; font-size: large;">«Che cosa fanno?» gli chiedo.</span></div>
<div>
<span style="font-family: inherit; font-size: large;">«<i>Ils travaillent</i>» risponde con una scrollata di spalle. Ho già capito da un pezzo che niente riesce a stupirlo. E mi invita a raggiungere l'Halimi al sabbioso desco a base di kuskus e caprone. Lui, povera anima schiava, sembra nutrirsi solamente di datteri.</span></div>
<div>
<span style="font-family: inherit; font-size: large;">Quella sera la conversazione ristagna. Il gelo dei ben oltre 2.500 metri desertici di altitudine impera, unito alla scarsità di ossigeno. Siamo stanchi e ci dobbiamo alzare prima del sole, per salire a vedere l'alba sulla vetta (io) e per portare ai dispensieri dei monaci le loro provviste (le mie due guide). Mi addormento di schianto nella coperta che ho comperato ad Algeri per usarla come sacco a pelo, e altrettanto di schianto mi sveglio al primo barlume di luce.</span></div>
<div>
<span style="font-family: inherit; font-size: large;">Già Halimi sta mettendo in moto. Partiamo immediatamente. Abbiamo poche centinaia di metri da percorrere, ma tutti in prima e non so con quali e quante ridotte. Sfiliamo affannati di fianco all'accampamento dei Nibelunghi francesi, anche loro occupati nelle operazioni del risveglio. Molte mani si levano a salutarci. E appare finalmente chiaro lo scopo del loro lavoro.</span></div>
<div>
<span style="font-family: inherit; font-size: large;">No, non hanno fabbricato l'Anello di Alberich. Molto più semplicemente hanno per tutta la notte tagliato, segato, saldato e ricostruito, facendo di un paio di 2CV un unico automezzo, metà grigio e metà rosso, che simile al vitello d'oro occhieggia altero dal centro del cerchio…»</span></div>
</div>
Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-44920506404688608402019-09-16T12:15:00.000+02:002019-09-16T16:34:28.492+02:00A Dublino nel 1974 con James Joyce e Nikon F<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div style="text-align: center;">
<span style="font-size: large;">
Autunno 1974. Una bella gita, clima umido ma molto più gentile che in Italia, avendo una vaga idea che un giorno o l'altro avrei potuto provare a tradurre l'Ulysses di Joyce, scattavo foto…</span><br />
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<br />
<div style="text-align: center;">
<img border="0" height="140" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjroLnLQW4VMdww7a_KshPWq_ua6JT2kiWi5uLcl349oGJD2hhDFwXwkHEUQPIlUYH2MrgQ6ejppiJrDyFc-gvV1MIS11WM5uThRZpduqhLSdJZSOoS90CNovRGLxYiw6UH-ifwq08H6kY/s400/Prolegomeni_Ulisse.png" width="400" /></div>
<br /></div>
<div>
<br /></div>
<div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMAtEDQUNtv2gZ-Z_gaLrDb8vmPidJvE_JapqY8vnUSf7lelQsGjxMDFSg11wYf3imOcpsTQUUUHMBVSGPLFKmyd5PmEO0IGf_BwGj1ovfP4w2LrJZ11ZjxsikAqzVnlLRQVFh9acMROc/s1600/Torre_Martello_Dublino_Seppia.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="845" data-original-width="1280" height="263" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMAtEDQUNtv2gZ-Z_gaLrDb8vmPidJvE_JapqY8vnUSf7lelQsGjxMDFSg11wYf3imOcpsTQUUUHMBVSGPLFKmyd5PmEO0IGf_BwGj1ovfP4w2LrJZ11ZjxsikAqzVnlLRQVFh9acMROc/s400/Torre_Martello_Dublino_Seppia.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption"><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><i><span style="font-size: small;"><span style="background-color: white; color: #151719;">La Torre Martello dove Joyce è vissuto qualche giorno e dove inizia l'</span><span style="-webkit-text-stroke-color: rgb(21, 23, 25); -webkit-text-stroke-width: initial; color: #151719;">Ulysses</span><span style="background-color: white; color: #151719;">.</span></span><span style="text-align: left;"><span style="font-size: small;"> </span></span></i></span></td></tr>
</tbody></table>
</div>
<div>
<br /></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEixrkyXdBx5T8ScIyHqNQzY2HAUl0XwXXd_RZnAJjIzEH4AcqBtbpqLTsGSyktfRoAuFLp43DHF63-var-Kah4l43EJxng7cMnVl-WJnuCq6pCfuV-U3_wrbTRKIWAqqBt_cdrTFNnOFik/s1600/Dublino_Mare+-+1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1136" data-original-width="1600" height="285" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEixrkyXdBx5T8ScIyHqNQzY2HAUl0XwXXd_RZnAJjIzEH4AcqBtbpqLTsGSyktfRoAuFLp43DHF63-var-Kah4l43EJxng7cMnVl-WJnuCq6pCfuV-U3_wrbTRKIWAqqBt_cdrTFNnOFik/s400/Dublino_Mare+-+1.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><div style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin-left: 20px; text-indent: 34.1px;">
<span style="-webkit-font-kerning: none;"><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: small;"><i>Il mare dalla Torre Martello. Parla Mulligan: «Dio… Il mare non è proprio come dice Algy: una grande dolce madre? Il mare color verde moccio. Il mare strizzascroto. </i>Epi oinopa ponton<i>. Ah, Dedalus, i greci! Devo insegnarti. Bisogna leggerli in originale. </i>Thalatta! Thalatta!<i>...</i></span></span></div>
<div style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin-left: 20px; text-indent: 34.1px;">
<span style="-webkit-font-kerning: none;"><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: small;"><i><br /></i></span></span></div>
</td></tr>
</tbody></table>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjmLXGLK6VRHL21H-n9vWIMsM-DPmK7lWT2QCbvIYo-H2tQcgWEqEpT6YBHUF87cYi8Cqr2sBybaGvoa9usZTT0qVUuq_hXJGWt-8C6jSgibwoixHMxbmNMKK1CrghCPfSz-Ejw4QbqejM/s1600/Dublino_2monelli.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1065" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjmLXGLK6VRHL21H-n9vWIMsM-DPmK7lWT2QCbvIYo-H2tQcgWEqEpT6YBHUF87cYi8Cqr2sBybaGvoa9usZTT0qVUuq_hXJGWt-8C6jSgibwoixHMxbmNMKK1CrghCPfSz-Ejw4QbqejM/s400/Dublino_2monelli.jpg" width="266" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(21, 23, 25); -webkit-text-stroke-width: initial; background-color: white; color: #151719; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span style="-webkit-font-kerning: none;"><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: small;"><i>«Il suono di due voci acute, un’armonica a bocca, echeggiò nell’atrio spoglio venendo dagli strilloni: I ragazzi di Wexford noi siamo, che pugnaron col cuore e con la mano.»</i></span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(21, 23, 25); -webkit-text-stroke-width: initial; background-color: white; color: #151719; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<br /></div>
</td></tr>
</tbody></table>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjy7JZwFs5jeaGm6mLtSNRj2xy5UC5TpjGoQgmVdo7lsqPal9jvHZDzNdjhKxwNJVFgXv8s5kWharvq7cTQ7EkbfXBS5dbdND8kEj3RyC2nR7wh7goQSQ4WpvfhRIT0CsZKcyncS57Wa-w/s1600/Dublino_Birra+-+1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1280" data-original-width="1280" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjy7JZwFs5jeaGm6mLtSNRj2xy5UC5TpjGoQgmVdo7lsqPal9jvHZDzNdjhKxwNJVFgXv8s5kWharvq7cTQ7EkbfXBS5dbdND8kEj3RyC2nR7wh7goQSQ4WpvfhRIT0CsZKcyncS57Wa-w/s400/Dublino_Birra+-+1.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(21, 23, 25); -webkit-text-stroke-width: initial; background-color: white; color: #151719; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span style="-webkit-font-kerning: none;"><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: small;"><i>«Arrivano su garzoncelli con la loro zazzera rossa dalla contea di Leitrim, a lavare i vuoti e recuperare i fondi di bicchiere in cantina… Sete generale. Un bel rompicapo sarebbe attraversare Dublino senza passare davanti a un pub…»</i></span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(21, 23, 25); -webkit-text-stroke-width: initial; background-color: white; color: #151719; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span style="-webkit-font-kerning: none;"><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><i><br /></i></span></span></div>
</td></tr>
</tbody></table>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4jLk5wcA6E_Cu2el0pCjKzB2PrvUXSerSEbD4WT9oyI4s1h8mUoaSs06x3iTaQ2FfCO6DNgE1Aj9IzPB5zEL0AbyTmZcfmNWwK5mkiGDUtjwdrCM2-oig5LzqoHazsyc_Ey-S9rHBe8E/s1600/Dublino_Chiesa+-+1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1600" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4jLk5wcA6E_Cu2el0pCjKzB2PrvUXSerSEbD4WT9oyI4s1h8mUoaSs06x3iTaQ2FfCO6DNgE1Aj9IzPB5zEL0AbyTmZcfmNWwK5mkiGDUtjwdrCM2-oig5LzqoHazsyc_Ey-S9rHBe8E/s400/Dublino_Chiesa+-+1.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><div style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin-left: 20px; text-indent: 34.1px;">
<span style="-webkit-font-kerning: none;"><i><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: small;">L’odore freddo di pietra sacra lo chiamava. (Il signor Bloom) salì i gradini consunti, spinse la porta girevole ed entrò silenziosamente dal retro.</span></i></span><br />
<span style="-webkit-font-kerning: none;"><i><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: small;"><br /></span></i></span>
<span style="-webkit-font-kerning: none;"><i><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: small;"><br /></span></i></span>
<span style="-webkit-font-kerning: none;"></span><br />
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center; text-indent: 0px;"><tbody>
<tr><td><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi136wCAJA3hp08baRJ8BUDckVlqK-TQE9X-TCw72AvTLfb-yAX90ufr7rtuupc09Vm7NQfEkdOGoREHdaFmxU-yW3r2J91AiQMlFziJSK9wndIEjnyvYWPxX0pAtEXp2KRGwczDpqIp-s/s1600/Dublino_Antiquario+-+1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1493" data-original-width="1600" height="372" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi136wCAJA3hp08baRJ8BUDckVlqK-TQE9X-TCw72AvTLfb-yAX90ufr7rtuupc09Vm7NQfEkdOGoREHdaFmxU-yW3r2J91AiQMlFziJSK9wndIEjnyvYWPxX0pAtEXp2KRGwczDpqIp-s/s400/Dublino_Antiquario+-+1.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="font-size: 12.800000190734863px;"><div style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin-left: 20px; text-indent: 34.1px;">
<span style="-webkit-font-kerning: none;"><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: small;"><i>«Nella vetrina della bottega di antichità di Lionel Mark l’altezzoso Henry Lionel Leopold il caro Henry Flower in realtà il signor Leopold Bloom esaminò ammaccati candelabri, fisarmonica debordante verminoso soffietto. Un affare: sei gambe. Potrei imparare a suonare. A buon mercato…»</i></span></span></div>
</td></tr>
</tbody></table>
<br /></div>
</td></tr>
</tbody></table>
<div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg_37Rgpk31Th_Emy3AEhVGsvC3hf73GjOrpcskmolr4rLPt2NMZxUbb35NOtsHgYNj3pZQE5qWSDk_DXByf47WbGZ3DiLuWb_n0sKVNiNdbpzSzGZtrMv-kUf4D3Qia-R3LBbmAga1Ius/s1600/Dublino_Duglacz+-+1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1600" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg_37Rgpk31Th_Emy3AEhVGsvC3hf73GjOrpcskmolr4rLPt2NMZxUbb35NOtsHgYNj3pZQE5qWSDk_DXByf47WbGZ3DiLuWb_n0sKVNiNdbpzSzGZtrMv-kUf4D3Qia-R3LBbmAga1Ius/s400/Dublino_Duglacz+-+1.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(22, 25, 31); -webkit-text-stroke-width: initial; background-color: white; color: #16191f; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span style="-webkit-font-kerning: none;"><i><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: small;">«(Il signor Bloom) si fermò davanti alla vetrina di Dlugacz con gli occhi fissi sulle matasse di salamelle, salsicciotti…»</span></i></span><br />
<span style="-webkit-font-kerning: none;"><i><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: small;"><br /></span></i></span>
<span style="-webkit-font-kerning: none;"><i><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: small;"><br /></span></i></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(22, 25, 31); -webkit-text-stroke-width: initial; background-color: white; color: #16191f; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<br /></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEigDT4fYdGg5zffyVBA31QmHitG5ZVmamXilPo_ckLmX72CxOiQ8pKzzXo_aprLCMpjUIdumC3Jppwi7rxvrg_1hiu2F1lWuZLmQyYnBDN_qj1igcpac622OP9l3gMz1PZK-OwGoQOQvXg/s1600/Trinity_College.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="757" data-original-width="1569" height="192" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEigDT4fYdGg5zffyVBA31QmHitG5ZVmamXilPo_ckLmX72CxOiQ8pKzzXo_aprLCMpjUIdumC3Jppwi7rxvrg_1hiu2F1lWuZLmQyYnBDN_qj1igcpac622OP9l3gMz1PZK-OwGoQOQvXg/s400/Trinity_College.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption"><div style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin-left: 20px; text-indent: 34.1px;">
<span style="font-size: small;"><span style="-webkit-font-kerning: none;"><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><i>A letto accanto a Leopold — </i></span></span><span style="font-family: "times new roman"; text-indent: 34.1px;"><i>di spalle e </i></span><i style="font-family: "Times New Roman";">“</i><i style="font-family: Times, "Times New Roman", serif; text-indent: 34.1px;">testa a piedi</i><span style="font-family: "times new roman"; text-indent: 34.1px;">” —</span><i style="font-family: Times, "Times New Roman", serif; text-indent: 34.1px;">, Molly Bloom, informata che il marito ha portato lì e cercato di trattenere Stephen Dedalus dopo aver conversato a lungo con lui, pensa: «… naturalmente ha fatto finta di capire tutto e probabilmente gli ha raccontato di essere uscito dal Trinity College…»</i></span></div>
</td></tr>
</tbody></table>
</td></tr>
</tbody></table>
</div>
<div>
<span id="goog_1022786862"></span><span id="goog_1022786863"></span><br /></div>
</div>
Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-7803731259645654812019-01-28T18:48:00.000+01:002019-01-28T18:48:43.911+01:00La Giornata della Memoria<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjovg6cHo1-NXTg_lwScg2JJD8FVQjE5gMIruhlW9zKdCivKRKmYW-jAb_yrBimiOBWrvsOYpRGTANKSJiaLeLzHgsXlYXSYHGkaMIHqpqxa5M7CEUF-jCXxm5_ObBaOMmbFBACorB1Teo/s1600/io.papa.1943.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="421" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjovg6cHo1-NXTg_lwScg2JJD8FVQjE5gMIruhlW9zKdCivKRKmYW-jAb_yrBimiOBWrvsOYpRGTANKSJiaLeLzHgsXlYXSYHGkaMIHqpqxa5M7CEUF-jCXxm5_ObBaOMmbFBACorB1Teo/s320/io.papa.1943.jpg" width="192" /></a></div>
Giornata della Memoria. Qui io con mio padre il 26 agosto 1943, in un posto terribile: Fossoli. Di lì a poco per migliaia di infelici ebrei quel luogo sarebbe diventato l’anticamera del campo di sterminio.<br />
<br />
Si badi bene, noi NON siamo ebrei (non avrei niente in contrario ma non mi risulta). In quel momento Fossoli era un campo di concentramento italiano per prigionieri di guerra di lingua inglese o russa. Mio padre, soldato semplice, era stato messo lì un po’ per fare da interprete, ma soprattutto per tenerlo d’occhio, perché di lingua madre inglese e cresciuto a Londra, dove aveva ancora madre e due sorelle.<br />
<br />
Di lì a qualche giorno, non so se lo stesso fatidico 8 settembre o poco dopo, gli è stato ingiunto di aderire alla repubblica di Salò. Lui ha rifiutato. Da carceriere si è ipso facto trasformato in carcerato. Rischiando quindi di partire per qualche campo “di lavoro” tedesco. E magari mia madre e io con lui.<br />
<br />
È riuscito a scappare dal campo con alcuni prigionieri russi tagliando la rete, ci ha raggiunto e rocambolescamente portato fino a casa di suo padre, in provincia di Como, da dove, essendo un disertore e quindi passibile di fucilazione, si è rifugiato in Svizzera. (E non pare che gli svizzeri si siano comportati con quegli esuli meglio di quanto si stanno comportando certi luridi personaggi italiani nei confronti degli esuli di oggi.)<br />
<br />
Quel terrificante viaggio in bicicletta e treno è il primo ricordo che porto inciso nella mente: avevo poco più di quattro anni. Soltanto un ricordo, che ho voluto aggiungere qui in questa giornata di vergogna universale in memoria dell’onestà e del coraggio di mio padre. Noi quattro Biondi non siamo MAI stati fascisti, io, unico rimasto, non lo sarò MAI!</div>
Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-37481860298713771652018-01-14T17:16:00.000+01:002018-01-14T17:17:44.270+01:00Perdere la Trebisonda<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiICGrE3yz7Y4OGpKIYtIQXomwYNWWhxKkZHgHfjC3ur0mM2k0Zmcb2rzJxB9FItmLzKmqcdEt0MgBT0qznjV6YNll2-elZKqVSF6k12qrueNk3PjXHH38juKMVCMzqeV5d-VQQoJrSoj8/s1600/Screen+Shot+2018-01-14+at+16.40.08.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="994" data-original-width="1548" height="256" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiICGrE3yz7Y4OGpKIYtIQXomwYNWWhxKkZHgHfjC3ur0mM2k0Zmcb2rzJxB9FItmLzKmqcdEt0MgBT0qznjV6YNll2-elZKqVSF6k12qrueNk3PjXHH38juKMVCMzqeV5d-VQQoJrSoj8/s400/Screen+Shot+2018-01-14+at+16.40.08.png" width="400" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
Questa volta è andata bene, l'aereo della turca Pegasus è rimasto lì fra color che son sospesi e nessuno si è fatto male, quindi il pilota non ha "perso la Trebisonda" fino alle estreme conseguenze.<br />
Perché proprio questo era il significato originale del vecchio motto italiano. Lo hanno creato nel Medioevo i marinai delle navi che trasportavano merci nel Mar Nero verso Costantinopoli provenendo dall'antica Tana (la greca <span style="background-color: white; color: #222222; font-family: sans-serif; font-size: 14px;"> Τάναϊς, </span><i style="caret-color: rgb(34, 34, 34); color: #222222; font-family: sans-serif; font-size: 14px;">Tánaïs</i>).<br />
Era una città della Palude Meotide, il Mar d'Azov, alla foce del Don, importante terminale della Via della Seta settentrionale; colonia genovese e prima ancora veneziana, tant'è vero che da lì iniziarono i loro viaggi verso la Cina i tre Polo.<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjyICpCLNpdCNa8Vd6KGlSUJieaCmt3yqrXsAqPtQaqyqW9xgj922dlyz_4eBbUo8I36l04hop14QMKm8kz2TNbJVwqA_oh7Y7dFBL1uCFELMB8jAyzF2tyYVfFMJV98MifMeR4Arc-HGM/s1600/Black_Sea_map_it.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="781" data-original-width="1024" height="152" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjyICpCLNpdCNa8Vd6KGlSUJieaCmt3yqrXsAqPtQaqyqW9xgj922dlyz_4eBbUo8I36l04hop14QMKm8kz2TNbJVwqA_oh7Y7dFBL1uCFELMB8jAyzF2tyYVfFMJV98MifMeR4Arc-HGM/s200/Black_Sea_map_it.png" width="200" /></a></div>
Per raggiungere Costantinopoli, le navi, uscite dalla Meotide (Azov), attraversavano il Mar Nero fino alla costa settentrionale dell'Anatolia avendo come punto estremo di riferimento Trebisonda, la greca<span style="background-color: white; color: #222222; font-family: sans-serif; font-size: 14px;"> </span><span style="background-color: white; color: #222222; font-family: sans-serif; font-size: 14px;">Τραπεζούντα (</span>Trapesunta), ora Trabzon, per poi proseguire a ridosso della costa fino all'imbocco del Bosforo e da lì raggiungere i ricchi fondachi (veneziani e genovesi) del Corno d'Oro a Costantinopoli.<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiB7PzZUHd6k1zt4fggR1QrbNnmp6djB0d8Z53Vc9FFYnt_Fz5mmzf2iWbqo_LwlqQ0080T45C5SgR07hB_LbQ1GWM3ToEx7obULsFRM4FIABNMgyBDczMQXu2yFCsP8NgucocyKQMinwA/s1600/Georgian_States_Colchis_and_Iberia_%2528600-150BC%2529-en.svg.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="696" data-original-width="792" height="175" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiB7PzZUHd6k1zt4fggR1QrbNnmp6djB0d8Z53Vc9FFYnt_Fz5mmzf2iWbqo_LwlqQ0080T45C5SgR07hB_LbQ1GWM3ToEx7obULsFRM4FIABNMgyBDczMQXu2yFCsP8NgucocyKQMinwA/s200/Georgian_States_Colchis_and_Iberia_%2528600-150BC%2529-en.svg.png" width="200" /></a></div>
Ma il Mar Nero è infido, flagellato da furibonde tempeste, e se il nocchiero "perdeva la Trebisonda", ovvero non riusciva riparare in quell'estremo riparo a Oriente, la sua nave si perdeva nell'ansa della Colchide e nessuno la vedeva più se non presumibilmente i pirati georgiani…</div>
Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-76306722482792522582017-12-27T11:58:00.000+01:002017-12-27T11:58:06.667+01:00I cristiani monofisiti siriaci. Dimenticati da tutti, massacrati da tutti. Da sempre…<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEimfE8qoH4dG7jx5ULag1DO1JaIWNX9BeLJN9898db0isJ_2lHdM8XH6w_vxb3OAH8j98UpJXD4W62G-649kHwLNYMZh_f7Bd-TLodyMRpCG-u7oAx0NkndwIqYOen-t227ovDGel6HtyI/s1600/Vescovo_Javanis_big.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="824" data-original-width="598" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEimfE8qoH4dG7jx5ULag1DO1JaIWNX9BeLJN9898db0isJ_2lHdM8XH6w_vxb3OAH8j98UpJXD4W62G-649kHwLNYMZh_f7Bd-TLodyMRpCG-u7oAx0NkndwIqYOen-t227ovDGel6HtyI/s320/Vescovo_Javanis_big.jpg" width="232" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Il vescovo Javanis di Mar Gabriel</td></tr>
</tbody></table>
<i>Arriva finalmente notizia che per i siriaci iracheni sarebbe possibile cominciare a tornare nelle loro case lasciando quelle dei parenti turchi, che li hanno ospitati generosamente — e non senza rischio — in questi terribili mesi. Quando viaggiavo da quelle parti non mi è stato possibile visitare la loro terra — i viaggi individuali erano severamente proibiti dal governo dell’Iraq, niente visti —, ma ho girato qua e là con grande piacere ed emozione in quella dei turchi. Ne ho raccontato qualcosa nel mio romanzo </i>“L’Araba Fenice”<i> (uscito nel 1986 con il titolo </i>“La civetta sul comò”<i> per imposizione dell’editore), ma soprattutto ne ho scritto nel mio primo libro di viaggi, </i>“Güle güle. Parti con un sorriso”<i>. Ecco qui di seguito quei miei ricordi.</i><br />
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«La notte trascorsa sul Nemrut Dagi, con la giornata che l'aveva preceduta, è probabilmente stata una delle più singolari e affascinanti della mia vita, insieme a quelle del Sahara di qualche anno prima. Ma non ne scorderò mai nemmeno un'altra, di un paio di giorni prima. E di entrambe devo ringraziare l'imam Khomeini e i tumulti dei suoi seguaci. Senza di essi, quell'estate del 1978 sarei andato in Iran e non sarei sceso nell'estremo Sud-Est dell'Anatolia.<br />
<br />
Caracollando lungo il margine del Kurdistan iracheno dopo essermi fermato un paio di giorni a sguazzare nel sale del lago di Van – visitando rovine armene e urartu –, ero arrivato a dormire a Mardin, città bellissima, nobilissima, adagiata sul fianco di una rupe rocciosa davanti al deserto siriano. Dalla finestra del mio albergo, che dominava tutto, si vedeva una sfilata di tetti digradanti, una vera e propria scalinata di terrazzi piena di vita giorno e notte. Tutta la città sembrava dormire sui tetti.<br />
<br />
Anche lì avevo avuto qualche inconsapevole problemino di Ramadan, visto che avevo continuato per una mezz'oretta a offrire ostinatamente una sigaretta a un ragazzetto che aveva attaccato bottone, anche lui probabilmente soltanto per dissuadermi dal fumare in pubblico in quei giorni. Non era comunque successo niente di grave: soltanto una spiacevole sensazione sotto pelle di non essere un ospite particolarmente gradito. Ma la città era splendida, avevo cenato e dormito benissimo.<br />
Il mattino, svegliatomi molto di buon'ora (che straordinario spettacolo il brulicare di vita al risveglio sui terrazzi sotto la mia finestra), ero tornato parzialmente sui miei passi per andare a visitare le chiese e i monasteri siriaci del Tur Abdin. Sono lì dal V secolo a tenere in vita l'interpretazione del Cristianesimo dei monofisiti, dichiarata eresia da almeno un paio di Concili a partire dal 448. Ma i monofisiti siriaci (oltre a quelli copti e armeni) sono ancora lì a sostenere il loro punto di vista e a litigare con i curdi.<br />
<br />
Il centro più importante della zona è Midyat, equamente divisa in due sobborghi tra le due etnie e religioni. Luogo notevole. A poca distanza c'è probabilmente il più interessante dei monasteri: Mar Gabriel. Vi arrivai di mattino ancora abbastanza presto, dopo aver dato un passaggio a un giovanotto beatamente ignaro, con i due polli che teneva stretti nel pugno per le zampe, di essere una perfetta replica curda di Renzo Tramaglino.<br />
<br />
Il monastero è protetto da mura profonde non so quanti metri, in cui si apre una pesantissima porticina. Era chiusa, picchiai con il batacchio sul legno. Nessuna traccia di vita. Picchiai di nuovo, più forte. Una terza volta. Ancora niente. Ma finalmente, quando avevo già quasi deciso di rimettermi in viaggio, ecco la porticina girare su cardini cigolanti, ecco aprirsi una strettissima fessura ed ecco nella fessura apparire i due più stupefacenti culi di bicchiere che avessi mia visto in vita mia. Davano un barlume di vista allo scaccino del monastero, che mi guardò molto stupito. In turco con un po' di inglese volle sapere chi fossi, da dove venissi, come fossi arrivato lì.<br />
<br />
Gli mostrai la mia auto, parcheggiata davanti alla porta, a pochi decimetri da noi. Strizzò molto gli occhi per inquadrarla nel campo visivo, poi mi afferrò di botto per un braccio e mi trascinò oltre la porticina che chiuse con un formidabile tonfo, sbarrandola.<br />
<br />
Senso di ciò che mi disse: «Se ti vedono i curdi sei fatto».<br />
<br />
L'altro giorno – aggiunse – è arrivato qui un pulmino di turisti belgi. Mentre erano dentro a visitare il monastero, i curdi hanno costruito un muro di pietre davanti al veicolo, un altro dietro, e quando i belgi sono usciti hanno dovuto consegnare tutto quello che avevano, altrimenti non li lasciavano andare via.<br />
<br />
Mi voltai di scatto verso la porticina. A scanso di equivoci, non era meglio se cambiavo aria subito? Lo scaccino non mi mollò il braccio, spiegandomi con tono professorale che ormai i curdi mi avevano visto, quindi ero già perduto, ma quasi sicuramente non mi avrebbero fatto niente, perché ero solo e di conseguenza rendevo poco, e loro non avevano tempo da perdere.<br />
<br />
Non molto tranquillizzante ma non c'era niente da fare, non mi mollava il braccio, ero costretto a seguirlo. Finalmente ci venne incontro un signore molto distinto, dotato di un inglese perfetto: lo insegnava ai giovani cristiani di Midyat che venivano lì a studiare. Lo scaccino dovette battere in ritirata, borbottando. Chiesi al professore ragguagli sull'eventualità di essere rapinato e spogliato dai curdi. «Qualche volta succede» rispose con una anodina scrollata di spalle.<br />
<br />
Ma ormai ero lì e dovevo visitare il monastero. Inoltre la notizia del mio arrivo era già stata portata al locale capo carismatico della comunità siriaca, il vescovo Javanis Bilgig, che mi aspettava nel suo alloggio. Prima però mi toccò visitare la cripta con tutte le sue tombe di santi. Bella, credo, ma non potei goderla un granché.<br />
<br />
Appena entrati, nel semibuio, vidi il professore sollevare la sottanona, farne emergere un grosso calcagno scalzo e pestarlo sulla terra battuta del pavimento, con diverse torsioni. Guardando bene, vidi qualcosa di spiaccicato. «Uno scorpione» spiegò il professore in tono annoiato. «Ce n'è un sacco.»<br />
<br />
Le tombe potevano anche essere sublimi: per tutta la visita alla cripta non feci altro che guardare negli immediati paraggi dei miei piedi, anch'essi seminudi e protetti soltanto da sandali pieni di fessure.<br />
<br />
Ma finalmente fui condotto al cospetto del vescovo Javanis. Al centro di una sala, sul pavimento, era steso un materasso, su cui era adagiato un uomo di solenne vecchiezza, tunica rosso fuoco, piedi nudi (doveva essere un'usanza del luogo), lunga barba candida, gigantesco cornetto acustico color argento retto a uno dei due orecchi. Un sorriso cordialissimo sotto due occhi di una vivacità straordinaria.<br />
Ricevetti la mia benedizione, e il vescovo chiese al mio accompagnatore informazioni su di me. Gli furono fornite, generando profondi assensi. Bene, bene, diceva intanto educatamente in turco per farsi capire anche da me. Ma da dove vieni? fu l'ultima domanda, rivolta direttamente a me.<br />
Dall'Italia, risposi. Italia? E dove sarebbe?<br />
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Poi, con un lampo di malizia negli occhi cilestrini: Ah, già, dalle parti della Romania.<br />
<br />
E con una nuova benedizione dell'antico eretico – dovetti chinarmi verso di lui perché potesse impormela sulla guancia come una specie di cresima – fui congedato. Lo splendido vecchio si lasciò andare sulla stuoia e il cornetto acustico fu posato a troneggiare lì accanto.<br />
<br />
La visita al monastero era conclusa, ma il professore di inglese non mi permise assolutamente di andarmene da solo. Riprendendo il discorso dello scaccino, profetizzò orribili sevizie sulla mia persona da parte dei curdi. E comunque, aggiunse, così da solo non sarei mai riuscito a trovare le diverse chiese sparse per la campagna. Mi affidò quindi a un giovanotto che pensavo avesse sui trentacinque anni e invece, sedutosi accanto a me sull'auto, mi rivelò di essere studente in un collegio di Istanbul. Un po' ripetente, forse, non saprei.<br />
<br />
Conosceva a memoria tutte le canzoni dei Beatles ed era stonato, ma mi fece fare uno splendido giro in campagna tra polli, capre, fossi e solchi di carri a vedere chiese di ben oltre mille anni, che davvero da solo non sarei mai riuscito a trovare. Il prete di una di esse, la più bella, mi ingiunse di sedermi accanto a lui nell'ombra del portone (piedi canonicamente nudi).<br />
<br />
Parli turco? mi chiese. Cenno di diniego. Parli curdo? Idem. Parli siriaco? No. Parli arabo? Macché. Scosse a lungo la testa, borbottando qualcosa che significava chiaramente: e allora che cosa diavolo vieni fin qui a fare? Poi spedì il giovanottone oltre l'iconostasi di tessuto trasparente a leggere con voce tonante il Vangelo, non so se in siriaco o aramaico: con voce ancor più tonante gli correggeva gli errori. Avrei dato chissà che cosa per avere con me un registratore.<br />
<br />
Alla fine della gita mi toccò trasportare a Midyat tutta una coloratissima famigliola che doveva andare dal medico: padre, madre e figlioletta malata. Eravamo in auto in cinque, niente di particolare sull'asfalto o anche sulla terra battuta, ma lì eravamo in mezzo ai fossi.A ogni solco più profondo mi toccava fermarmi e, per poter cautamente proseguire, far smontare il mio baffuto angelo custode e la famigliola, esclusa la bambina malata. La quale era arciconvinta che i suoi genitori volessero liberarsi di lei vendendomela ed esplodeva raffiche di urla disumane. Il viaggio durò più di un'ora, con una decina di soste squarciate da strida strazianti, ma come Dio volle arrivammo a destinazione. La famigliola non si sognò nemmeno di ringraziarmi. Erano evidentemente parenti di tutto il paese, furono abbracciati dalla popolazione al completo, si dissolsero in mezzo a essa e scomparvero. Meno male.<br />
<br />
Era ormai tardi, a Midyat non c'era dove andare a dormire. Accettai l'invito del professore di inglese, trasmessomi dal baffuto fan dei Beatles, e passai la notte in una cella del monastero, dove oltre a tutto mi diedero da mangiare benissimo. Un'altra serata sensazionale. Il mattino dopo la mia auto era lì ad aspettarmi fuori dalla porticina. Nessun curdo l'aveva naturalmente violata.»</div>
Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-21345948865976521492017-03-28T12:55:00.002+02:002017-03-28T12:55:38.149+02:00Il Superfusto. Un mio racconto di 21 anni fa<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<i>Mi è tornato in mente qualche giorno fa…</i><br />
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«Si guardò nello specchio a figura intera, si girò di profilo. Una colonna scolpita nel bronzo. Congiunse i pugni e li strinse davanti al bacino perché i pettorali risaltassero in tutto il loro rutilante splendore. Che maschio. Labbra tumide, sguardo corrucciato. Si girò di tre quarti per vedersi meglio. Che potenza. Il labbro superiore non riuscì a rimanere teso e si aprì in un sorriso senza pietà. Chiuse gli occhi. Nella mente gli scorsero come in technicolor le immagini degli sguardi adoranti che, in palestra, lo seguivano passo per passo, attimo per attimo, gesto per gesto, quando entrava nella sala di pesi. Vide il suo corpo poderoso allungarsi sulla panca facendola scricchiolare, le mani salire al doppio sostegno del bilanciere, chiudersi a pugno alle due estremità della sbarra. Gli parve di sentire la goccia di sudore che a quel punto gli imperlava regolarmente la fossetta verticale tra la scultorea linea del naso e il perfetto doppio arco carnoso delle labbra. Anche quella minuscola, argentea goccia di sudore — lo sapeva perfettamente —, era scrutata in un silenzio religioso da decine di sguardi reverenti. Avessero potuto, l’avrebbero raccolta come una reliquia.<br />
<br />
«Giù gli immensi pesi sui pilastri torniti delle braccia. Due colonne del Partenone. Un ansito, quasi un grido. Ed ecco i due blocchi di ferro perfettamente bilanciati nell’aria. Su e giù, su e giù, un numero di volte che nessuno era mai riuscito non dicasi a pareggiare ma nemmeno ad avvicinare. Rimetteva il bilanciere nei due ganci, si raddrizzava di scatto, scendeva dalla panca con una mezza piroetta, elastico come un giaguaro, leggero come un puma. Avessero potuto farlo in libertà, non fossero stati annichiliti dalla sua apollinea presenza, dall’acre sentore di maschio che emanava la sua pelle, sapeva che i miseri spettatori della scena lo avrebbero gratificato di un’acclamazione estatica.<br />
<br />
«Tornò ad aprire gli occhi, abbassò lo sguardo al bacino, alla cintura del sospensorio, al sottostante rigonfio. Ah! Quel rigonfio! Un maglio. Quante frequentatrici della palestra avrebbero voluto impadronirsene, farlo proprio, ingerirlo, introiettarlo nel proprio corpo, amarlo, farsene lacerare, maltrattare fino a gridare di passione e dolore, fino a piangere. E gli uomini, indecenti molluschi! Credevano forse che non vedesse, che non avvertisse addirittura fisicamente sulla nuca il viscido ardore dei loro sguardi quando, liberatosi con un calcio dell’indumento, incedeva nudo, con il passo di un gladiatore imperiale, verso la sauna. Era Spartaco, il dominatore indiscusso di quell’ambiente di aspiranti uomini, in cui l’unico vero maschio era lui. Per un solo attimo di attenzione, per il contatto di un secondo, per un millimetro quadrato della sua pelle, sarebbero stati capaci di dare la vita.<br />
<br />
«Lo sapeva benissimo: quando si accosciava a fare qualche flessione e poi si tendeva come una molla nel gesto simulato della partenza dai blocchi, ce la mettevano tutta, saltellando e ingobbendosi in esercizi di stretching, tanto improbabili da essere ridicoli, per riuscire a mettersi alle sue spalle. Guardavano, poveretti, la linea monumentale delle sue natiche, in tutto e per tutto degne dei Bronzi di Riace, tutti insieme. Quando li sentiva lì riuniti alle sue spalle come uno sciame di vespe ronzanti e stillanti bava, si alzava di scatto e si allontanava senza una parola. Lo spettacolo è finito, vermi.<br />
<br />
«Li lasciava così, annichiliti, orbati della sua catartica presenza, desolati, colpiti da una crudeltà ineluttabile. Poveretti. Ma ormai avevano imparato a conoscerlo. Il più duro, il più crudele di tutti. Com’era cattivo! Da avere paura di se stesso. Ancora una volta il tumidore delle labbra si aprì in un sorriso spietato. Sì, era cattivo, capace di fare male anche soltanto con lo sguardo. Di più, con la sua semplice presenza. Da sempre, fin da piccolissimo, dai primi giorni della vita, dalla nascita. Ne sapeva qualcosa la sua mamma. Quanto doveva averla fatta soffrire, in quell’ora fatidica. Quanto male doveva averle fatto.<br />
<br />
«"Mammina", mormorò, sentendosi riempire di lacrime brucianti gli occhi arrossati dalla febbre del fieno. "Perdonami", aggiunse con un soffio di voce. Infilatosi precipitosamente nel lettino a una piazza, si rannicchiò in posizione fetale sotto la trapunta pesante e si infilò il pollice tra le labbra, mettendosi a succhiarlo rumorosamente, slurp, slurp. Che freddo faceva sempre in questo mondo angosciante, così lontano dalla protezione del grembo materno. Allungata la mano libera, prese dal cassetto del comodino la cuffia di lana morbida, posata accanto ai Kleenex, e se la infilò in testa, calandosela bene sulla fronte.<br />
<br />
«Un brutto mondo astioso, pieno di sinusiti e reumatismi. Dappertutto, al collo, alla schiena, alle braccia, alle gambe. Eh, be’, sì, un giorno o l’altro doveva ricominciare ad andare in palestra. E ridessero pure sotto quei baffoni da macho, gli anabolizzati, sghignazzassero della sua calvizie totale, degli occhiali a culo di bicchiere, del torace cavo, della pancia a panettone, delle chiappe a sacchetto, delle braccia da ranocchio, delle gambe da ragno, del suo metro e sessanta scarso con i tacchi. Ci fosse stata lì la sua mamma, come li avrebbe messi a posto! "Mammina", mormorò di nuovo, rasserenato. Che pollice buono gli aveva fatto. Slurp, slurp...»</div>
Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-7601883511193619702017-03-19T11:39:00.001+01:002017-03-21T12:32:14.303+01:00Euro vs Dollaro. Una contesa persa in partenza?<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj5kAZBzVp3nJAmnqgiBsyDrMn1H-X88jBmMowdsYUY7MEZX0B3oEfDkuGNutgXF3eggqVWE_5xgyYiD77zSDvtyIndSXb0Vef8nFOcq4aE_UhyeeMV7pEoz2nuHsymBL4ElpsXOigQ9lo/s1600/1-euro-coin.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj5kAZBzVp3nJAmnqgiBsyDrMn1H-X88jBmMowdsYUY7MEZX0B3oEfDkuGNutgXF3eggqVWE_5xgyYiD77zSDvtyIndSXb0Vef8nFOcq4aE_UhyeeMV7pEoz2nuHsymBL4ElpsXOigQ9lo/s200/1-euro-coin.jpg" width="200" /></a></div>
<i>L’euro ce la farà mai a imporsi sul dollaro come moneta di riferimento a livello mondiale, o almeno a raggiungerne lo stesso livello di riconoscimento? Temo proprio di no. Ecco qui sotto che cosa scrivevo quattordici anni fa in preparazione di </i>Strada Bianca per i Monti del Cielo. Vagabondo sulla Via della Seta<i>, dopo aver viaggiato avanti e indietro per Medio Oriente e Asia Centrale:</i><br />
<br />
«Gli aerei diretti dall’Asia Centrale all’Europa partono di norma nel cuore della notte, in modo da poter arrivare in mattinata negli aeroporti internazionali di destinazione e tornare indietro in giornata. Così anche il mio aereo da Tashkent (Uzbekistan) per l’Italia decolla nel buio più fitto…<br />
<br />
«Mi sono concesso qualche ora di sonno, ma quando esco dall’albergo non appartengo precisamente a questo mondo. Né vi appartengo quando arrivo all'aeroporto. Cammino, in pratica, dormendo. Mi si avvicina un ragazzetto che trema dal freddo e si tira le maniche della giacca striminzita sulle mani, che sono paonazze. Ha una bellissima faccia da russo o da scita – non ho voglia di spaccare capelli –, anch'essa arrossata dal freddo. È troppo cresciuto per i vestiti che indossa. Fa il gesto di prendermi la valigia. Io so di non avere più con me neanche un centesimo di moneta uzbeka, quindi gli faccio bruscamente cenno di no. Lui mi guarda con aria dispiaciuta e fa per allontanarsi.<br />
<br />
«Per fortuna la sua espressione mi fa svegliare di colpo e rinsavire. Che cosa diavolo mi è venuto in mente? Non posso dare una banconota da un dollaro a questo povero ragazzo, che trema dal freddo nel cuore della notte per guadagnare qualcosa facendo il facchino? Ne ho sempre con me qualcuna proprio per evenienze come questa, e ogni volta rinnovo la mia perplessità circa l'ostinazione della Banca Europea nel non voler emettere banconote da uno o almeno due Euro. Lo sanno quanti piccoli e anche non piccoli servizi si possono pagare in tanti paesi con quei minimi importi, che invece è impossibile pagare con monete metalliche, per il semplice motivo che le monete non le cambia nessuna banca? Quanto a me, mi piglierei semplicemente a sberle, come purtroppo succede non di rado, e sempre in ritardo.<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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«Riesco a richiamare in extremis il ragazzo e gli affido la valigia. Vuole a tutti i costi prendere anche la borsa a mano. Arrivati in cima alla scala mi fa capire che non può proseguire oltre, e io gli porgo il suo dollaro. Si fruga in tasca e tenta di darmi un resto in moneta uzbeka. Faccio una gran fatica a convincerlo che non deve rendermi proprio niente. Mi stringe la mano con la sua, tutta screpolata, e corre in cerca di altre valigie da portare, con due spallucce strette nel vestitino della festa che si mette per avere un'aria rispettabile e poter fare il facchino nel gelo della notte all'aeroporto. Mi sento letteralmente stringere il cuore…»<br />
<br />
<i>Così era nel 2003 e così continua a essere oggi in tutto il Sud e Sud-Est Asiatico, dove ho trasferito il centro di interesse dei miei viaggi.</i><br />
<i>La gente semplice, in cambio dei suoi piccoli, onesti servizi, o anche di una piccolissima vendita di frutta, di dolcetti, di paccottiglia, continuerà a chiedere “One dollar”. Non può chiedere “One euro” per il semplice motivo che la BANCONOTA da 1 Euro non esiste. E — ripeto — le monete metalliche non sono convertibili in moneta locale: le banche non le accettano. Di conseguenza non valgono niente.</i><br />
<i>Quindi per il senso comune del mondo intero — eccettuata FORSE l’Europa Comunitaria — la moneta archetipica, la Ur-moneta continua a essere il Dollaro.</i><br />
<i>E amen, con buona pace della Banca Centrale Europea e dei miopi governanti dell’Europa…</i></div>
Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-54257791754156469752017-02-17T12:27:00.000+01:002017-02-17T12:27:02.512+01:00Deir ez-Zor, Siria, nella morsa dell’Isis. E nessuno ne parla. Ecco come l’ho vista più di 30 anni fa<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiwAyt-BubkEBcBcyRTNtQbqDrVmHcr7F-7KSjZoMfkugPi3JspSXSRm3Hl8oyMh_oEx4MrKVKZTXm72LDgfbKfriCkMHUUWNsChMEfWZHyZgeHh3r2EO4eIjEabMGn3MmakmhfKUN7d_k/s1600/deir-ezzor.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="261" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiwAyt-BubkEBcBcyRTNtQbqDrVmHcr7F-7KSjZoMfkugPi3JspSXSRm3Hl8oyMh_oEx4MrKVKZTXm72LDgfbKfriCkMHUUWNsChMEfWZHyZgeHh3r2EO4eIjEabMGn3MmakmhfKUN7d_k/s400/deir-ezzor.jpg" width="400" /></a></div>
<b><br /></b>
<b>Dal mio “Strada bianca per i Monti del Cielo. Vagabondo sulla Via della Seta”</b><br />
<i>(La foto l’ho ripresa da un articolo del coraggioso giornalista <a href="http://www.fulvioscaglione.com/2017/02/17/deir-ezzor-proviamo-a-parlarne/" target="_blank">Fulvio Scaglione</a>, uno dei pochissimi a parlarne)</i><br />
<i><br /></i>
« Sul nastro di asfalto che continuando da Aleppo corre lungo la riva destra dell'Eufrate mi inoltrai un giorno d'estate dei primi anni Ottanta. Essendo stato letteralmente buttato fuori dall'ambasciata irachena di Roma quando avevo osato chiedere un visto, volevo comunque avvicinarmi il più possibile ai confini di quell'impenetrabile paese, se non altro per vedere Doura Europos e Mari, oltre a Rasafa, in territorio siriano. Il posto giusto dove fare tappa era ed è tuttora Deir ez-Zor. Vi trascorsi una serata bellissima.<br />
La mia prima meta era stata Rasafa, anche scritto Resafa, Rosafa o Rusafa. Roseph per la Vulgata e Sergiopoli per i romani: la patria di San Sergio. Erano molti anni che ci volevo andare, fin da una delle mie prime visite a Istanbul e a quella che attualmente è chiamata Piccola Santa Sofia, la Chiesa dei Santi Sergio e Bacco, divenuta moschea.<br />
Rasafa è stata una delle grandi città romane del Crescente Fertile, capitale della provincia Augusta Euphratensis, dopo la caduta di Doura Europos in mani persiane, e di ricchezza pari alla Palmira della regina Zenobia. I resti sono molto estesi ma purtroppo altrettanto poveri, anche se sfavillanti di un miracolo di frammenti di mica. Uno straordinario baluginare di specchietti tra la sabbia sotto il sole sfolgorante di Siria.<br />
Abbagliato, capii di punto in bianco il senso di una frase che avevo letto tempo prima, coniata da Andrè Parrot, archeologo francese e primo direttore del Louvre, scopritore di Mari nel 1933: «Ciascuno ha due patrie: la sua e la Siria».<br />
Arrivato di pomeriggio nella piacevole Deir ez-Zor e concessomi un po' di riposo, sul far della sera uscii e, fatto un giro nel bazar, andai a cena. Rinfrancato dal solito ottimo cibo siriano, mi aggirai qualche minuto per il centro che si stava facendo buio, finché mi accorsi che tutti andavano nella stessa direzione. Mi accodai.<br />
Arrivammo a un corso d'acqua, dove la temperatura calò di colpo di diversi gradi, facendosi fresca e gradevolissima. Era l'Eufrate. Attraversato da un ponte che mi fece mancare il fiato, una replica in sedicesimo del Golden Gate di San Francisco. Piccolo piccolo ma tale e quale. Lo hanno costruito i francesi negli anni Venti, quando la Siria è stata loro affidata con la formula del mandato dopo aver scacciato verso l'Iraq il grande protetto di Lawrence d'Arabia, lo hashemita sceicco Feisal, diventato per pochissimo tempo re di Siria e poi spedito a farsi assassinare come re del neo assemblato Iraq. Uno dei più tremendi pasticci colonialisti combinati da britannici e francesi in combutta. Una polveriera che sta ardendo ancora e non smetterà probabilmente mai.<br />
Perché i francesi avranno costruito il ponte di Deir con quella forma, invece di fare una replica in piccolo di uno dei loro? Chissà. E quanto sarà largo? Pochi metri, infatti lo si percorre soltanto a piedi. Ma nelle sere d'estate era la meta preferita di tutti gli abitanti della cittadina. Erano lì che andavano avanti e indietro, e io con loro. Che bel posto. E che straordinaria capacità hanno le popolazioni desertiche di non sprecare parole e quindi alito, e quindi umidità interna. Passeggiare in mezzo a quel mormorio e a quello svolazzare di indumenti orientali era bellissimo.<br />
Ci misi poco a rendermi conto che la popolazione giovane, almeno quella di sesso maschile, era divisa tra modernisti e tradizionalisti. I primi in jeans, i secondi nelle loro splendide gellabe bianche o azzurre. Facevo finta di niente, ma ero perfettamente consapevole di averne alle spalle un gruppo che mi seguiva timidamente da diversi minuti. Frequentavo da abbastanza tempo quelle terre per sapere quanto isolate siano dalla cattiva coscienza internazionale, e quanta voglia abbiano i loro giovani di comunicare con lo straniero.<br />
Visto che non osavano prendere l'iniziativa, la presi io. Arrivato circa a metà del ponte feci un improvviso dietrofront che mi mandò quasi a sbattere contro di loro. Il gruppo si aprì per accogliermi, e per un'oretta – o forse più – fui uno di loro, l'amico adulto tornato da lontano, il fratello rientrato dall'emigrazione. Conoscevano in diversi il francese. Di che cosa parlammo? Chi lo sa. Di tutto e di niente. Molti di loro reggevano per il manubrio certi biciclettoni cinesi neri che così alti non credo di averne mai visti prima (li ho rivisti poi appunto in Cina).<br />
Vollero sapere se preferivo quelli di loro in jeans o quelli in gellaba. Ero inesorabilmente destinato a creare dispiacere a una parte di essi, per cui cercai di traccheggiare, ma non ci fu niente da fare: esigevano una risposta. Non sono mai stato capace di mentire, e poi perché farlo, visto che comunque avrei dato una risposta poco gradita a una parte di loro? Risposi onestamente che mi piacevano di più quelli in gellaba. I visi dei modernisti si fecero lunghi. Mi spiegarono in toni accorati che avevo torto, che per evolversi è indispensabile essere moderni e quindi vestirsi come ci si veste nei paesi sviluppati. Per fortuna non sapevano ancora che nei paesi sviluppati si scolorivano e stracciavano apposta indumenti perfettamente nuovi in nome della moda.<br />
Mi salvai in un complicato corner spiegando che, certo, avevano ragione, ma dalle mie parti nessuno portava la gellaba, per cui per me era una novità, e di conseguenza suscitava in me maggior interesse. Potevo aggiungere che quegli indumenti facevano forse emergere dal fondo del mio inconscio le ombre dei presepi infantili? Davvero non avrebbero potuto capire. Mi accompagnarono fin sulla porta dell'albergo e mi strinsero tutti la mano, a uno a uno, con le belle dita sottili e nervose che hanno soltanto quelle popolazioni.<br />
Come mi piacerebbe, un giorno, avere occasione di andare ancora una volta fin laggiù, a Deir ez-Zor, sulla riva dell'Eufrate, per vedere se di sera si passeggia ancora in quel modo, e se i ragazzi sono ancora così gentili e così equamente divisi in jeans e gellabe. E poi, magari, il giorno dopo, poter proseguire per un Iraq finalmente lasciato libero di governarsi e di godere delle sue ricchezze…»</div>
Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-75012727592743131412017-02-15T13:03:00.000+01:002017-02-15T13:03:42.274+01:00Un'altra intervista inedita di 7 anni fa: su me e la Bocconi<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgf2DTK3anya9SXsF2gyHnodZcaBRONi7AVDPQvYhQ0S1QTvlLirbXFXFduQAoBqqz9pkSdASs4PjI7JeCtA3PA58R7RU7FYRATtZjz0AnyAERScujDk2sPly0hQmvW3n8qoEsunvOpeOY/s1600/biondi.laurea2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="270" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgf2DTK3anya9SXsF2gyHnodZcaBRONi7AVDPQvYhQ0S1QTvlLirbXFXFduQAoBqqz9pkSdASs4PjI7JeCtA3PA58R7RU7FYRATtZjz0AnyAERScujDk2sPly0hQmvW3n8qoEsunvOpeOY/s400/biondi.laurea2.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">19 febbraio 1964. Mi laureo alla Bocconi</td></tr>
</tbody></table>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
<i>Nella primavera del 2010 mi telefonò un giovane chiaramente non italiano. Mi spiegò che era uno studente straniero della Bocconi e che con altri colleghi, come lui stranieri, stavano pensando di creare una piccola rivista destinata a quella non piccola pattuglia di studenti. Aveva sentito parlare di me e della mia attività, così diversa da quelle tradizionalmente praticate dai laureati Bocconi, e mi chiese se mi andava di rispondere a qualche domanda. Lo feci di buon grado, ma non seppi più niente dell'intervista. Era stata pubblicata? Chissà. Soltanto qualche anno più tardi, nel corso di un'altra intervista, un efficiente quanto gentile addetto all'agguerrito Ufficio Stampa dell'Università mi spiegò che quel progetto non era andato a buon fine, anche (credo) perché l'intraprendente giovane era tornato in patria. Ne ho casualmente ritrovato il testo nel mio computer, mi sembra non priva di interesse, quindi la pubblico qui (scusandomi se non ricordo il nome del giovane che me l'ha fatta).</i></div>
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<i>Quali sono i suoi legami con la Bocconi?</i></div>
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Ho studiato lì dopo la maturità al Liceo Classico A. Volta di Como, e nel febbraio 1964 mi sono laureato in Economia Politica con l famoso professor Giovanni De Maria, che ne era stato Rettore. Titolo: “Rapporti tra incivilimento e progresso economico." Che in sostanza significa: “Come il progresso economico rende (o no) più civile il mondo". </div>
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<i>Da quanto ha lasciato la Bocconi? Vi torna mai?</i></div>
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Come ho detto, l’ho lasciata nel febbraio del 1964, ma io vivo a Milano, che non è poi una città così grande, per cui ho avuto molte occasioni di tornarvi, per incontrare vecchi amici, per ascoltare conferenze o per l’inaugurazione ufficiale dell’Anno Accademico. Per un certo numero di anni, inoltre — negli Ottanta —, sono anche andato a diversi incontri dei "Laureati Bocconi", promossi dall’ALUB, l’"Associazione Laureati Università Bocconi".</div>
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<i>Può offrirci una panoramica della sua carriera (professionale, accademica) da quando ha lasciato la Bocconi? Quali, secondo lei i momenti cruciali?</i></div>
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Ho lasciato la Bocconi in un momento difficile per l’economia dell’Italia, la cosiddetta “Congiuntura” della metà degli Anni Sessanta, per cui non è stato facile trovare un impiego. Per di più la mia laurea in Economia pura non era precisamente fatta per facilitarmi nel mondo degli affari, più orientato verso Tecnica Commerciale, Tecnica Industriale, Tecnica Bancaria eccetera. Di conseguenza mi è toccato prendere ciò che ho trovato, ovvero un posto di venditore-programmatore di macchine elettrocontabili (non ancora “elettroniche”, si badi bene) presso la filiale italiana dell’americana Burroughs. La parte “programmazione” era affascinante (e da lì viene il mio profondo interesse per i computer e il Web), ma la parte “vendita” non mi è mai piaciuta: sono totalmente incapace di vendere.</div>
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Sono rimasto alla Burroughs soltanto pochi mesi, dopo di che sono andato alla Nestlé. È stato un periodo molto importante della mia vita professionale: alla Nestlé ho imparato che cosa significa davvero “lavorare”, organizzare il proprio lavoro. Ma non era la vita che volevo per me: io sono vagabondo per natura, mi piace viaggiare, cambiare, e soprattutto volevo lavorare in una Casa editrice e imparare come si diventa scrittore.</div>
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Quindi, passati tre anni alla Nestlé in tre posizioni diverse (“vagabondaggi?”), sono andato alla Casa Editrice Einaudi di Torino. E 18 mesi più tardi ho “vagabondato” da lì alla Sansoni di Firenze, e finalmente, dopo altri sei anni, all Casa Editrice Longanesi, tornando a Milano.</div>
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Nel 1984, infine, ho deciso di aver imparato abbastanza sull’editoria e lo scrivere e di poter tentare di fare lo scrittore di professione. A quel punto avevo già pubblicato 3 romanzi (più un piccolo libro di poesie), e il quarto, arrivato pochi mesi più tardi, mi ha dato il momento più felice della mia vita professionale, vincendo in settembre 1985 il Premio Campiello a Venezia.</div>
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In totale* ho pubblicato 13 romanzi, 3 libri di viaggio e 1 di poesie, più altre poesie sparse in riviste letterarie e decine di interviste, recensioni e articoli di varia natura su quotidiani e periodici italiani. Oltre alle 71 traduzioni di libri di narrativa in lingua inglese (tra cui molti di Premi Nobel come I. B. Singer, Wole Soyinka, William Golding e Orhan Pamuk).</div>
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<i>Quale pensa sia stato l’influsso della Bocconi sulla sua carriera?</i></div>
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È stato molto forte, perché mi ha aiutato a capire l’importanza di organizzazione e disciplina nello studio come nel lavoro professionale. Scrivere è una professione (ivi incluso molto studio): i libri non piovono dal cielo, richiedono una grande quantità di organizzazione personale, disciplina e forza di volontà.</div>
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<i>Può metterci a parte di un bel ricordo del tempo trascorso in Bocconi?</i></div>
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Ne ho tanti, situazioni, amici, anche un paio di amori… ma stiamo parlando di cose avvenute quasi 50 anni fa, i ricordi si affievoliscono. Un certo particolare momento, però, non lo dimenticherò mai.</div>
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Autunno 1958, prima lezione di Ragioneria nell’Aula Notari, l’Aula Magna. Settecento matricole sedute lì. Il famoso professor Napoleone Rossi, in un silenzio dove si sarebbe potuta sentir volare una mosca, ordina: «Quelli di voi che vengono da Ragioneria (Istituto Tecnico) si alzino». Più o meno 600 giovani scattano in piedi. «Adesso quelli che vengono dal Liceo Scientifico.» Un’ottantina di ragazzi e ragazze. «E adesso quelli che vengono dal Liceo Classico.» Non eravamo più di 20.</div>
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Un’esplosione di risate, con i 600 “ragionieri” che sghignazzavano, strepitavano, irridevano fino a diventare rauchi, mentre noi, poveri 20, rimanevamo lì timidamente con il nostro retaggio di latino, greco, filosofia, storia dell’arte, uno qui, uno là…</div>
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«State zitti, stupidi», tuona il professor Napoleone Rossi rivolto ai ragionieri: «due o tre lezioni e pregherete questi pochi ragazzi del Classico di spiegarvi che cos’è veramente la “Ragioneria”.»</div>
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Un momento indimenticabile. E andò proprio così: mi fu personalmente chiesto da qualche “ragioniere” di preparare insieme i due esami di Ragioneria (oltre a quelli di Tecnica Commerciale e Industriale). Davvero molto interessante e corroborante.</div>
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<i>Ha un messaggio per coloro che stanno provando a laurearsi quest’anno?</i></div>
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Siate forti e coraggiosi, seguite sempre il vostro istinto, ma lavorate, lavorate e ancora lavorate (che per adesso significa “studiate”). Molto duramente. Sempre.</div>
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<i>È ancora in contatto con persone conosciute alla Bocconi, studenti o magari insegnanti?</i></div>
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Certo, mi sono fatto molti amici e sono in contatto con diversi di loro (persino su Facebook!) Anche professori, che a quei tempi erano giovanissimi: Roberto Ruozi, per esempio, che ha quasi la mia età ma che, quando io ho lasciato l’università, insegnava già Tecnica Bancaria, per poi diventare Rettore. Alcuni importanti dirigenti della Banca d’Italia, almeno un ministro (del governo Prodi), due o tre editori…</div>
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<i>La Bocconi aveva già il suo appeal internazionale quando lei ne percorreva le aule?</i></div>
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Era ben conosciuta e rispettata, c’erano tra noi diversi stranieri, ma niente a che vedere con il richiamo che esercita oggi.</div>
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<i>Se potesse tornare indietro e ripetere tutto da capo, lo farebbe?</i></div>
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Non si può mai dire, ma non credo: come ho detto e ripetuto, io sono un “vagabondo”, mi piace (ho bisogno di) viaggiare, sperimentare, cambiare. Ho cambiato tanti mestieri, tanti luoghi dove vivere, persino tanti modi di scrivere. Ho viaggiato in più di 40 paesi, per me il “cambiamento” è l’essenza della vita.</div>
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<i>È mai passato "attraverso i leoni" dell’atrio?</i></div>
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Sì, certo. Quasi ogni giorno per quattro anni (tranne d’estate). Ero uno studente molto serio e frequentavo scrupolosamente le lezioni. A quei tempi, però, non credo esistesse l’espressione “passare attraverso i leoni”, o comunque non me la ricordo. Ci toccava semplicemente passare di lì se volevamo andare a lezione. E non frequentare le lezioni era il modo migliore per rischiare di non laurearsi.</div>
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* <span style="font-size: x-small;">Al momento dell’intervista, primavera 2010.</span></div>
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Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-22089337040840798932017-02-11T11:45:00.001+01:002017-02-11T11:45:17.510+01:00Una mia intervista inedita (di 7 anni fa) sul Lago di Como<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRfAudxZQuRatgO-58nlMs_w-gFhxmtAayvLQEWZ2vpX5MvwVsUXV7_Wg6_aZk5L21D70KcstOpf2u-vy6f5RZDmJzLd7R9LUse_zNiym6jnKSV7q6tK6K_1XHgSshyphenhypheneLOel1iZ5GDHzg/s1600/Lago_Como_250114.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="230" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRfAudxZQuRatgO-58nlMs_w-gFhxmtAayvLQEWZ2vpX5MvwVsUXV7_Wg6_aZk5L21D70KcstOpf2u-vy6f5RZDmJzLd7R9LUse_zNiym6jnKSV7q6tK6K_1XHgSshyphenhypheneLOel1iZ5GDHzg/s400/Lago_Como_250114.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Il ramo di Como del Lario visto dalla Valfresca<br />(tortuosa salita tra la città e San Fermo)</td></tr>
</tbody></table>
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Nella primavera del 2010 la casa editrice che pubblicava i miei libri di viaggio mi ha chiesto se mi andava di rilasciare un’intervista sul Lago di Como per Il Giornale. Non so da che cosa fosse motivata la richiesta, che mi ha abbastanza stupito, dati certi miei antichi rapporti tempestosi con il quotidiano cui avevo collaborato intensamente sotto la direzione del grande Montanelli. Una gentile signora di cui non ricordo il nome mi ha mandato le domande e io ho disciplinatamente risposto. Come sospettavo, l’intervista non è mai uscita, né mi è mai stato spiegato il motivo. Eh, eh. L’ho trovata poco fa nelle ordinatissime caverne del mio Mac, e la pubblico qui, per l’inguaribile amore del mio Lago.<br />
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<i>Lei è pressoché cresciuto sulle sponde del lago di Como. Un luogo che dice di aver ‘goduto sfrenatamente’ da adolescente. Come era il lago agli occhi di un adolescente?</i></div>
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Io <i><b>sono</b></i> cresciuto lì, dai 4 ai 19 anni. E il Lago rappresentava la vacanza, ovvero la libertà. Con i miei compagni più cari del Liceo Volta avevamo l'usanza, alla fine dell'anno scolastico, di sporgerci sopra la rientranza tra la Gelateria Ceccato e la Stazione Nord per gettare in acqua quaderni e diari vecchi. Una volta siamo dovuti scappare a gambe levate, inseguiti da uno scrupoloso vigile che voleva multarci. Per fortuna correvamo più forte di lui. A quei tempi le vacanze si facevano così: l'acqua era ancora praticabilissima, al largo davanti a Villa d'Este mi è più volte capitato di berla. Si nuotava in uno dei lidi, si usciva in barca a remi o a vela, certe fortunate volte persino con una fanciulla, protetta dal casto scafandro di uno dei costumi da bagno di allora, in ghisa impenetrabile. Bellissima vita. Semplice, educata, allegra, onesta.</div>
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<i>In genere al lago si associa una dimensione un po’ rarefatta, quasi decadente. E’ un luogo comune?</i></div>
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Non è un luogo comune. A dargli questo tono è anzitutto la nebbiolina che lievita quasi immancabilmente dall'acqua. L'echeggiare di tenebrose sirene. Il sentore un pochino di aldilà che accarezza le narici…</div>
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<i>Quanto di quelle atmosfere l’hanno accompagnata negli anni successivi? E quanto quei paesaggi sono entrati nella sua scrittura?</i></div>
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Mi hanno accompagnato sempre. Il panorama più bello del mondo, per me sarà sempre quello del Lago di Como che si vede da certi punti della Valfresca, la strada vecchia per San Fermo. Una volta era quello che si godeva dalle gallerie della provinciale, ma poi l'hanno massacrato con l'autostrada. Molta della mia narrativa è ambientata sul lago, anche se magari con nomi di luoghi artefatti.</div>
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<i>Quali i luoghi, gli scorci lacustri che meglio raccontano quel periodo?</i></div>
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Per quanto possano piacere ai russi o alle star di Hollywood, temo siano diventati una cosa molto diversa. D'altra parte i principi Trubetzkoy sono arrivati un bel po' prima. E anche le famose "Regine" da cui il lago ha derivato il suo soprannome. Ma ancora adesso attraversare il lago in traghetto da Cadenabbia a Bellagio (o viceversa) suscita una straordinaria emozione. O vedere il ramo di Como e quasi insieme quello di Lecco da certe fortunatissime zone sopra il Ghisallo…</div>
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<i>Dei sapori e dei profumi di quella zona, quali lo descrivono meglio?</i></div>
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Quanto a sapori non saprei dire. Purtroppo non ricordo più come fossero i decantati piatti del Cotoletta di quei tempi o dell'allora celebrato Ristorante Villa Geno, o del Piazzolo. I profumi, invece, mi sembra siano stati sempre un po' riservati, molto in consonanza con il carattere dei comensi, sempre pudichi, restii a svelarsi (salvo magari concedersi outing clamorosi una volta in libertà a Parigi o Londra o Stoccolma o New York…)</div>
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<i>Natura e arte o meglio architettura possono essere gli estremi che meglio racchiudono il lago?</i></div>
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Arte e architettura forse no, tale è lo strapotere locale della natura.</div>
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<i>Si può raccontare letterariamente questo specchio d’acqua?</i></div>
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Io l'ho fatto più volte, in almeno cinque romanzi. E non escludo di farlo ancora: le ambientazioni sono perfette, già pronte per essere applicate a sviluppi narrativi.</div>
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<i>Cinque aggettivi per tratteggiare il lago?</i></div>
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Vediamo: malinconico, riflessivo, solitario, sereno. Evito "solare" perché ormai lo si applica persino alla Befana.</div>
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Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3583005799445427010.post-21298018151614910832017-01-20T17:05:00.000+01:002017-01-20T17:05:37.854+01:00Intervista in voce con Sebastiano Vassalli, 1995<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjzOYoGpiyXq2DrzrYvyFwzMKdBX2CLH-ZN0X2soI9jf9vMpaNEehOOOjpWHQSYXhFwyZOCVslX8Int-AUIS41zEXXiz1Zf7Q1KCGcaahvrkK9_SkT0ggZjt_4ORqt6ULnnKuWTOih0BPk/s1600/Vassalli_Orvieto.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjzOYoGpiyXq2DrzrYvyFwzMKdBX2CLH-ZN0X2soI9jf9vMpaNEehOOOjpWHQSYXhFwyZOCVslX8Int-AUIS41zEXXiz1Zf7Q1KCGcaahvrkK9_SkT0ggZjt_4ORqt6ULnnKuWTOih0BPk/s200/Vassalli_Orvieto.jpg" width="140" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Sebastiano Vassalli nel 1976<br />a un convegno a Orvieto</td></tr>
</tbody></table>
<div style="font-family: Geneva; line-height: normal; text-align: justify;">
Nella primavera del 1995 Sebastiano Vassalli pubblicò il romanzo <i>3012</i>, che fu promosso all’insegna dell’ODIO. Proprio: un romanzo sull’ODIO. In realtà non era precisamente così, ma, insomma, il Vassalli ci teneva, e il messaggio promozionale funzionò egregiamente.</div>
<div style="font-family: Geneva; line-height: normal; min-height: 22px; text-align: justify;">
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Io tra le tante cose che facevo per sopravvivere collaboravo a “Class”, diretto dal diavolone vulcanico di nome Paolo Pietroni. Adorava letteralmente l’ODIO, lo considerava anche lui il motore del mondo. Mi spedì subito a Biandrate, tra le risaie del novarese e le rane, a intervistare l’autore.</div>
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Con Sebastaiano Vassalli eravamo amici, veramente amici, da quasi 30 anni. Era tra l’altro stato il mio primo editore: nel 1973 aveva pubblicato le mie poesie nella sua collana sperimentale “Ant Ed”. Accettò dunque di buon grado di farsi intervistare e <a href="http://www.mariobiondiscrittore.it/Giornalismo/Spoken_Interviews/spoken_interviews.html" target="_blank">l’intervista fu pubblicata</a> su un numero di “Class” della primavera/estate di quell’anno, non ricordo quale.</div>
<div style="font-family: Geneva; line-height: normal; min-height: 22px; text-align: justify;">
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<div style="font-family: Geneva; line-height: normal; text-align: justify;">
In questi giorni ho fortunosamente ritrovato la cassetta con la conversazione registrata, l’ho riascoltata e l’ho trovata molto, molto gustosa. Peccato che, finito il nastro di 46 minuti, io abbia rinunciato a inserirne uno nuovo, perché ce ne siamo dette tante altre ancora più gustose. </div>
<div style="font-family: Geneva; line-height: normal; min-height: 22px; text-align: justify;">
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<div style="font-family: Geneva; line-height: normal; text-align: justify;">
Ma, non essendoci nastro, ci siamo un po’ lasciati andare sui nostri ODI personali, quindi è forse meglio che il tutto sia stato inghiottito dall’oblio. Mi ha detto cose al vetriolo sui suoi rapporti con certi autori di Einaudi, nome e cognome. Meglio così, silenzio…</div>
<div style="font-family: Geneva; line-height: normal; min-height: 22px; text-align: justify;">
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<div style="font-family: Geneva; line-height: normal; text-align: justify;">
<a href="http://www.mariobiondiscrittore.it/Giornalismo/Spoken_Interviews/spoken_interviews.html" target="_blank">L’ho messa online sul mio sito</a>. È lunghetta, 47 minuti, ma se può interessare…</div>
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Mario Biondi Scrittorehttp://www.blogger.com/profile/03607476437460706875noreply@blogger.com0