domenica 8 novembre 2015

Sogni. Ovvero: "Il mattino dei miei 100 anni". Un racconto del 1992


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Il signor L. O., di professione scrittore, si svegliò presto, come ormai gli succedeva regolarmente. Non era più giovane. Negli ultimi decenni la gerontoingegneria aveva fatto veri passi da gigante. Quel giorno, il 17 maggio 2039, compiva cento anni. Né si poteva dire che avesse avuto una vita di tutto riposo. Eppure si sentiva in forma smagliante. Un ragazzo. Preso da piacevoli pensieri birichini, si attardò a letto nel tepore di quel mattino di primavera che i sensori sistemati accanto alla finestra gli dicevano di intensa limpidezza. Quindi, spostato lo sguardo sull’indice digitale della Plancia Dati di fianco al letto, posizionò la mente sul programma di Musica Classica trasmesso per via subliminale dalla RAI, la non mai abbastanza lodata Rete di Assoluta Indipendenza.

Lo stesso indice, dietro sua richiesta mentale, gli segnalò che erano le sette e mezza. Il cicalino dell’EterVideoTelefono gli ronzò nel cervello con il suo suono vellutato. E — fantastico — non avevano sbagliato numero. Cercavano proprio lui, non il pediatra Varicella o la Banca Colombiana di Riciclaggio. Sbalorditivo. Vide stagliarsi nitida l’immagine della celebre finanziera Laura Beatrix, passata da qualche tempo dal ruolo di acuta lettrice a quello di affettuosa mecenate. Prima di uscire per farsi portare in Borsa, aveva pensato di chiamare per augurargli un buon compleanno. Che preziosa amica. Quanti anni poteva avere? Sessantacinque? Settanta? Un fiore, anche se ultimamente si era un po’ appesantita. Bisognava suggerirle di cambiare Fitness Center. O forse sarebbe bastata una lieve modifica di dieta. Ridurre il caviale. Meno champagne. Per fortuna, quanto lui era miserabile — come del resto quasi tutti gli scrittori Off-USA —, tanto lei era ricca. Se avesse dovuto contare sui diritti d’autore, il signor L. O. avrebbe al massimo potuto invitarla a cena all’ECA, il malinconico Ente per la Caloria all’Autore.

Ringraziatala calorosamente e assicuratole che avrebbe passato la serata con lei, si alzò. Alle nove e mezza si sarebbero messe in moto la Scopa Elettronica, la Stiratrice Universale, la RammendaTutto, la Lavavetri Automatica e le varie altre diavolerie che mandavano avanti la casa. Persino l’Innaffiatore Temporizzato Nasturzio-Ridens. Che mondo di meraviglie gli era stato creato dal progresso. Anche se quando — fric-frac-swisc-swosc — si metteva in moto tutto quel bailamme automatizzato di scopa-lava-rammenda-stira, non gli piaceva molto essere lì. Però intanto la vita era diventata una specie di sogno.

Inoltre, fatte aprire le finestre con il meccanismo a sguardo, aveva avuto la conferma che fuori la giornata era mirabile. Il tè con biscotti, più le diverse pillole che doveva ingerire ogni mattino, erano pronti sul tavolo del cucinino, appena di fianco al Bancomat Domestico Individuale della BNL, la Banca Nazionale della Letteratura, preparati con perfetto tempismo dalla Personal-Cook sincronizzata con la temperatura del letto. Il televisore subliminale stava trasmettendo le notizie del giorno. 

Il Golfo era talmente placido che irakeni e kuwaitiani ci andavano insieme in pattino. Palestinesi e israeliani ballavano la danza del fazzoletto. Nelle Filippine tutti si abbracciavano e non c’era nessuna rivolta militare. In Africa il tasso di mortalità infantile era sceso a zero. L’Aids era sgominato. Il buco nell’ozono sparito. Il presidente americano e quello russo avevano assicurato per la settimana seguente l’annuncio del nome del loro Erede Unico. Di conseguenza, la Commissione Permanente per la Pace Universale sarebbe stata sciolta, visto che i suoi membri erano ormai pagati a ufo. Il signor L. O. scosse il capo e si voltò dalla parte opposta, determinando lo spegnimento automatico del televisore. Mai una notizia interessante.

Si spolverò il viso con la Shaving-Tonic-Powder e poi si lavò, trovandosi perfettamente rasato e tonificato. I denti se li era puliti due settimane prima con l’apparecchio al fluoro-cloro-trombone, e di conseguenza per sei mesi era a posto. Il polsino della camicia gli disse che era ora di uscire. Comoda questa idea di avere l’orologio incorporato nelle nuove Shirt-Watch. E fantastica l’idea che i polsini delle medesime si ricaricassero con il calore emesso dalla Stiratrice Universale. Del tutto logico, invece, ma comunque comodo, che a determinare il passaggio dall’ora solare a quella legale fosse, automaticamente, l’inclinazione del sole sulla linea ideale che correva tra il parafulmine della Casa Bianca e quello del Cremlino, checché potessero dirne i tedeschi, i giapponesi e i polacchi. 

I quali ultimi avrebbero addirittura preteso di applicare alla questione — manualmente! — un ingarbugliatissimo indice calcolato sulla formula per la produzione della birra applicata al numero dei peli (spezzati in quattro) di figli, nipoti e pronipoti di Lech Walesa. Famiglia che secondo le ultime stime ufficiali risultava composta da sette milioni trecentoventiseimila zerozerotre individui, tutti credenti e praticanti, anche se equamente ripartiti nei quattro sessi riconosciuti e codificati dall’anagrafe e dal Sinodo delle Chiese Monoteiste Uniate.

Ausilio, l’Autom-Portiere, lo salutò con grande calore, anche se con voce stranamente impastata e con movenze insolitamente goffe, consegnandogli un’aero-missiva appena arrivata. Il signor L. O. si annotò nel DataBase mentale di avvisare la Fraterna Gestione Centralizzata della Vita Condominiale che era forse il caso di provvedere a una verifica della Funzione Sound e dei Chip della Mozione del bravo automa, anche lui ormai di mezza età.

Quindi osservò la lettera. Ci aveva messo non più di un giorno ad arrivare. Caspita. La aprì. Rimase interdetto. Le GalactoEdizioni Bodoni & Garamond, cui da qualche anno erano affidate le opere del suo ingegno, lo informavano che la SIAE, Società per l’Idillio tra Autori ed Editori, aveva riscontrato nel rendiconto relativo all’ultimo romanzo un calcolo sbagliato a suo sfavore. Le copie-omaggio detratte dai diritti d’autore non erano 2370 bensì 237.

«Ci scusiamo per il deplorevole disguido», concludeva la sbalorditiva aero-missiva. Gli rendevano il maltolto. Gli davano dei soldi. Un vero sogno. Una volta tanto avrebbe potuto invitare a cena Laura Beatrix in un locale degno di lei.

Il marciapiede, in fibra sintetica rosa dalle sfumature cangianti, gli apparve particolarmente gradevole. Da quando la giunta endecapartito del Comprensorio Territoriale Unificato aveva reso rigorosamente operativo il divieto di ancorare ai davanzali delle finestre aeromobili e stealthmotociclette — oltre che, soprattutto, gli esecrati fuoriatmosfera —, non soltanto si respirava, ma si riusciva persino a vedere il cielo. Toh!

Di nuovo rimase interdetto. Ne succedevano proprio di cotte e anche di crude. Aveva visto passare una fanciulla in bicicletta. Un comune biciclo dei bei tempi andati, con il suo manubrio, le sue gomme, i freni, il catarifrangente, le ruote, il cestello. Un oggetto antidiluviano, ma il motivo di tanto stupore era un altro. Ben altro. C’era veramente aria di sogno. Non soltanto, infatti, la fanciulla pedalava sulla carreggiata senza zigzagare sul marciapiede, ma — il signor L. O. si sfregò gli occhi, estaticamente incredulo — procedeva sulla destra invece che contromano. Che cosa stava succedendo? L’anziano scrittore applicò la Funzione Retrovisiva per verificare se per caso avesse alle spalle il bravo Ausilio, con i cui Chip Auricolari commentare lo sconvolgente evento, ma non vide nessuno.

D’altra parte non aveva tempo da perdere. Doveva andare alla sede dell’INPS, l’Istituto Neoconsolidato per il Pubblico Sollazzo, dove era stato convocato per comunicazioni ’’urgenti’’ relative alla sua pratica di pensionamento. Da quando il BlitzMinistro per il Benessere Collettivo aveva imposto al Parlamento Unificato Ciscaucasico lo spostamento dell’età pensionabile al compimento dei cento anni, il benemerito Ente aveva cominciato a incontrare qualche intoppo.
Come regolarsi, per esempio, per il calcolo del coefficiente del giorno in cui l’avente diritto si era seduto per la prima volta sul vasino? Mica tutti, dopo circa novantanove anni, se ne ricordavano. E, d’altra parte, fino a qualche tempo prima non era stato obbligatorio inserirlo nei calcolatori insieme all’asilo, onde applicare al calcolo della pensione anche il valore rivalutato del consumo di latte e lecca lecca.

L’Air-Tram arrivò dopo pochi secondi, depositando lo scrittore esattamente davanti alla sede dell’Ente. Il signor L. O. entrò, preparato ad aspettare una decina di ore e anche a essere un po’ schiaffeggiato. Pazienza. Per un povero letterato senza Nobel la pensione può essere di importanza letteralmente vitale. Chissà come si erano ulteriormente ingarbugliate le cose, lì dentro, nei quasi cinquant’anni trascorsi da quando era venuto lì per presentare la domanda che aveva motivato questa convocazione ’’urgente’’.

Gli si fece incontro un’affascinante hostess, che con un sorriso radioso lo invitò a prendere posto su una poltroncina. «La prego di pazientare un poco», disse con la voce di un flauto dolce. «Ci vorrà un po’ di tempo. Per l’esattezza, cinque minuti, trentasette secondi e settantaquattro centesimi. Per farci perdonare, possiamo offrirle un caffè? Un tè al gelsomino? Non so: un tamarindo?»

Il signor L. O. non ascoltava più. Del resto non c’era niente da sentire: si era svegliato da un sogno tutto in rosa.

© Mario Biondi

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