Abbiamo detto di due sue grandi passioni. È così? E quale delle due è venuta prima?
Due, sì, essendo miseramente fallita quella per la musica. Per quanti sforzi abbia fatto, non sono mai riuscita a imparare a suonare il pianoforte o a cantare. Non sono mai neanche riuscita a imparare a scrivere a macchina, per altro. Ed è senz’altro nata prima la passione per la lettura. Ho cominciato a sette, otto anni, e questa mia passione la mamma l’ha usata per convincermi a studiare. “Se pigli un bel voto”, mi diceva, “ti regalo un bel libro.” La cucina venuta molto dopo, con la famiglia
Parliamo dunque prima di “romanzo”. Al di fuori dell’ambiente editoriale non molti sanno che la sua passione per la lettura è poi diventata una professione. Né si sa di certi suoi suggerimenti azzeccatissimi, decisivi per la pubblicazione o meno di libri destinati a diventare straordinari best seller. Quali ricorda di più?
Soprattutto uno. Alla fine degli anni Settanta ero a Londra con mio figlio Luigi, e mio marito Mario mi aveva raccomandato di andare nelle librerie a chiedere quali fossero i libri che in quel momento si vendevano di più. Mi è stato mostrato Hungry as the sea, quello che in Italia è poi diventato Come il mare di Wilbur Smith.
Vista adesso potrebbe sembrare una scelta facile, obbligata, ma allora…
Infatti. A quei tempi Wilbur Smith era già stato pubblicato in Italia con scarsissimo successo da due editori, che lo avevano mollato. Ma mi piace anche ricordare di aver sostenuto con calore la pubblicazione di Richard Bach. I suoi erano libri strani, difficilmente collocabili, davanti a cui gli editori esitavano. E poi ce ne sono stati tanti altri. Radici, per esempio.
Mai venuta la voglia di scrivere narrativa?
Altroché se mi è venuta, ma non l’ho mai messa in pratica. Non fa per me, non so scrivere una storia.
Però tutti dicono che le sue ricette sono scritte molto bene, con piglio da scrittore.
Hanno anche sottolineato la mia capacità di sintesi. Per forza, ho risposto: all’università il mio esame di latino stato su Tacito. È lì che ho imparato.
Passiamo alla cucina e facciamo un giochetto: paragoniamola al romanzo. Chi è, in cucina, il “buono”, il personaggio che quando c’è siamo sicuri del successo. E chi il “cattivo”?
Uhm, il “buono” è difficile da dire. Ce ne sono tanti. Quanto al “cattivo”, può esserlo davvero soltanto il cuoco, anche se c’è un ingrediente che ha una fama pessima: la panna. Ma è un’ingiustizia totale. Significa soltanto non saperla usare. È una questione di misura.
Anche nel romanzo si scopre spesso che il presunto “cattivo" in realtà è buono. Ma il “buono” “buono-buono"? Ci deve pur essere.
In Italia è senz’altro la pasta. Sì, la pasta, in una qualsiasi delle sue mille forme.
E la grande storia d’amore della pasta con chi è? Con chi la facciamo sposare perché siano tutti contenti, la famiglia, gli invitati, gli officianti, il pubblico?
Con il ragù. La pasta è buona sempre, ma con il ragù il successo è assicurato. Ed ecco un caso lampante in cui la presunta “cattiva” panna, usata con misura, è invece buonissima.
Arriva il Natale con i suoi cenoni o pranzi. Vogliamo suggerire un menu preso dalle ricette di In cucina?
A prescindere da antipasti e verdure, ad libitum, i cappelletti sono d’obbligo, in brodo, magari cotti in un magnifico brodo di cappone (anche ripieno). Oppure asciutti, con appunto la panna.
Il secondo?
Possibilmente misto. Il cappone semplice o ripieno con cui si è fatto il brodo, e un carré di vitello con osso come quello della ricetta del mio libro.
Che noi riportiamo qui sotto. E il dolce?
Il panettone è anch’esso quasi d’obbligo, magari con il mascarpone. Altrimenti (o in aggiunta) un magnifico Monte Bianco.
[Il pezzo proseguiva con due squisite ricette tratte dal libro — Il carré di vitello con osso e Il Monte bianco —, ma temo di non poterle riprodurre in quanto protette da copyright.]